sabato 14 gennaio 2012

MANICOMIO

Il corteggiamento delle libellule lungo il Monticano, sotto il cielo dagli occhi blu, è commovente.
Genio si soffermava a lungo per ammirare quel’altalenare e la gente con capiva. C’erano altre stranezze in quell’uomo: ripeteva spesso che bisognava togliere a Cesare quel che è di Cesare e che è meglio essere stupidi e onesti, piuttosto che intelligenti e parassiti.
Mentre guardava le libellule lungo il Monticano recitava inoltre il dialogo tra Margherita e Faust: “Credi, quel che è detto intelligenza spesso è piuttosto vanità, limitatezza”. Ce n’era abbastanza per meritare d’essere chiamato “Genio il pazzo”.

“In un mondo capovolto il manicomio non è un luogo fuori posto”, pensava Genio, e fece di tutto per essere ricoverato. Mandò perfino una cartolina ad un personaggio molto in vista con “Tanti saluti dal buco dell’ozono!” – Ebbe un turbamento quando lo vennero a prendere, ma si riprese pensando: “Il nostro tempo è prenotato ed ogni giorno viene puntualmente riscosso”.

Sulla facciata dell’ospedale si notava una vecchia scritta coperta da una mano di calce, che diceva: luogo destinato al ricovero degli schifosi irrecuperabili. Genio non vi fece caso ed entrò risoluto. Incontrò un altro paziente. “Tu, chi sei?”, gli domandò. L’altro rispose: “Sono un pazzo. Non si vede?”:
c’erano tredici letti nel reparto psichiatrico: tutti occupati. Le altre corsie dell’ospedale erano invece vuote: Faceva caldo ed i pazienti con le altre malattie, praticamente tutti gli altri ricoverati, avevano interrotto le cure per curarsi in ferie. Sarebbero tornati a settembre, magari per morire.
Peccato che la medicina sottovaluti il potere terapeutico delle vacanze e non includa i viaggi tra i sistemi curativi. In ogni caso bisogna ammettere che l’ospedale è un vero universo,o meglio un pluriverso.

Le giornate scorrevano lente, esasperanti. I pochi presenti nelle altre corsie erano per lo più vecchi lasciati in parcheggio dalle rispettive famiglie in vacanza. Nel reparto psichiatrico, nonostante l’affollamento, le possibilità di dialogo mancavano e Genio si annoiava. Solo la notte portava sollievo. La notte rende infatti possibile quell’equilibrio tra la veglia , sonno e sogno che dona l’oblio. In quella specie di patria per forza non rimaneva altro che rifugiarsi nei propri pensieri. Purtroppo anche i pensieri, all’insaputa dell’interessato, erano stati ormai completamente omologati. Rimanevano ancora liberi due soli argomenti: gli infermieri e la morte. I primi sembravano fedeli come l’oro al proprio lavoro, ma, si sa, anche l’oro risente delle variazioni del prezzo. Quanto alla seconda, chissà se ai malati di mente è riservata una morte più facile? In ogni caso per una risposta ci manca l’esperienza. A questo punto l’unica consolazione rimaneva la statistica: nel reparto psichiatrico si registra il più basso numero di decessi e scusate se è poco! A ciò bisogna coerentemente aggiungere che le morti improvvise si registrano solo tra quanti sono sempre stati bene.

D’estate i malati di mente si sentivano un po’ come i responsabili dell’intero ospedale. Costituivano indubbiamente il gruppo più stabile e, poiché in estate anche i veri responsabili sono in ferie, a qualcuno dei ricoverati saltava in mente, proprio come accade tra i dementi, di essere presidente, direttore, consulente dell’ospedale.
Nel reparto psichiatrico erano proibite molte cose,com’era logico che fosse, ma era permesso giocare a carte. A quest’ultimo passatempo si dedicavano quelli che erano convinti di impersonare le massime qualifiche del Servizio Sanitario. Il proverbio dice che in ospedale ogni scherzo vale, o qualcosa di simile.

Le partite avevano luogo tutti mercoledì sera. Era un vero e proprio gioco d’azzardo, in quanto venivano puntate grosse somme. Poiché i malati di mente non possono disporre di denaro, tutte le somme venivano rigorosamente annotate in un quaderno. Si trattava in effetti di una contabilità imponente, sebbene avulsa dalla realtà, ma gli interessati non lo sapevano. Una tale circostanza non è strana in un paese in cui riescono ad immaginare le convergenze parallele. E poi, anche la contabilità in certe strutture è imponente e avulsa dalla realtà.

A differenza di altri luoghi dove si gioca, non tutti i giocatori del reparto psichiatrico cercavano di vincere. Certo, anche in questo caso chi riteneva di essere Presidente, Consigliere o Direttore si seccava di perdere. Non succede soltanto tra i malati di mente che si voglia trarre seraficamente vantaggio dalla propria posizione.

Il quarto giocatore, un tipo dalla faccia grugni forme, perdeva sempre. Tra gli altri nove ricoverati circolava la voce che gli fosse stato promesso un avanzamento di carriera, purchè perdesse. Così gli altri giocatori, che si sentivano a lui superiori, non si sarebbero alterati. Per il momento il risarcimento riguardava il corrispettivo di duecento ore di fittizie prestazioni straordinarie al mese, sempre rigorosamente annotato nel solito quaderno.
Le partite così truccate non piacevano ad un ricoverato-spettatore, che pretendeva di essere uno specialista del malocchio. All’incredulità che lo circondava si opponevano però i fatti, poiché alle invettive di quel curioso personaggio seguivano puntualmente altrettante piccole o grandi disgrazie. Genio condivideva le partite truccate invece e sosteneva che esse erano un atteggiamento consueto tra i malati di mente. Gli sembrava anche che la considerazione riservata dagli altri al personaggio perdente fosse una specie di IVA della popolarità che si può avere in un reparto psichiatrico, appunto.

Nerio De Carlo

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