sabato 14 gennaio 2012

DAL PARRUCCHIERE

La signora Casimira detestava soprattutto due cose: una certa città e un suo ex capoufficio che si tingeva i peli delle orecchie. Le due immagini erano collegate tra loro, ma la seconda le attraversava il corpo come una purga.
Ogni mattina veniva ascoltata la radio per sapere se un cataclisma avesse distrutto quella certa città, come un’antica profezia avrebbe preannunziato.
All’ex capoufficio veniva dedicato uno sprezzante pensiero che comprendeva sia la sua abilità di restare sempre a galla (come le zucche e quant’altro), sia la sua faccia deturpata da funesti baffetti, che la facevano assomigliare alle scopettone un tempo usate nelle latrine.

Dopo queste canoniche incombenze la signora si recava spesso dal parrucchiere e ogni volta si chiedeva perché a questi amici delle donne fosse stata attribuita la non meritata fama di chiacchieroni. Perfino Socrate avrebbe contribuito a questa diceria: Quando gli fu chiesto come desiderasse farsi regolare la barba, il filosofo rispose: “In silenzio”.
Nel salone c’erano anche un piccolo cane e un merlo indiano. Quest’ultimo aveva imparato ad abbaiare, ma in quanto a chiacchiere , nulla!

“Mi piacerebbe se il parrucchiere cantasse almeno una canzoncina o recitasse una poesia”, pensava Casimira. Ma i parrucchieri non cantano e non verseggiano. Essi tacciono sia in prosa sia in versi. Forse si sono stancati delle tante critiche alla loro pretesa loquacità e in una riunione di lavoro (questa abitudine, esaltata dall’ex capoufficio di Casimira ma detestata da molti che preferiscono lavorare piuttosto che parlare di lavoro, non può avere risparmiato la categoria dei parrucchieri, diamine!) hanno deciso di non parlare più. Le clienti possono annoiarsi finchè vogliono!
“Peccato. Se continuerà così” – pensava Casimira – “non si dirà più muto come un pesce, bensì muto come un parrucchiere. Forse si pretenderà che anche le clienti osservino il silenzio e magari sarà posto sopra lo specchio un cartello con la proibizione di parlare al parrucchiere, un po’ come avviene sui mezzi pubblici affinchè i passeggeri non parlino al conducente”.

Casimira si immedesimò nella lettura. I parrucchieri hanno sempre delle riviste e una di queste accennava alla quantità di stoviglie che una casalinga deve lavare. – “Se i piatti non venissero lavati subito, cosa che può accadere per malattia o altre ragioni, ci sarebbe un mucchio alto cinquanta centimetri. In dieci anni diventerebbe una pila di 1800 metri”, spiegava l’articolo. La donna guardò verso l’alto. 1800 metri! L’articolo continuava: “La casalinga taglia in dieci anni circa tremila panini. Inoltre essa è come una maratoneta. Ogni giorno cammina per cinque chilometri. In dieci anni, senza contare le passeggiate con la famiglia, sono quindicimila chilometri, circa la metà della circonferenza terrestre. Questa posizione è superata solo dai postini. E il trasporto dei pesi come le borse della spesa? Almeno una decina di chili al giorno”.

Casimira era impressionata per la consistenza di quelle cifre e concluse che quello della casalinga è un lavoro molto pesante, quando giunse il suo turno di affidare la capigliatura alle mani del silenzioso parrucchiere. Aveva fretta di rivedere il marito, col quale era sposata da dieci anni, e di raccontargli quanto aveva letto circa il lavoro che un’abitazione richiede.
Incontrò il coniuge nel salotto, mentre spegneva l’aspirapolvere, gli buttò le braccia al collo e gli disse commossa: “Ho appena letto un articolo sul pesante lavoro domestico, mio caro: Scusa la mia decennale insensibilità. Soltanto ora so valutare e apprezzare il tuo lavoro quotidiano nella giusta maniera”.

Nerio De Carlo

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