domenica 15 maggio 2011

Commento alla traduzione de "Il cantico dei cantici" in lingua Veneta.

“…A chi non sa più nessun dialetto…

domando di essere consapevole della sua povertà,

anzi della sua mutilazione…”

(Giacomo Devoto)

Nerio de Carlo ha tradotto in lingua veneta il “Cantico dei Cantici”. Non fu fatica da poco considerare, interpretare e consolidare l’antico componimento d’amore. L’impresa risulta tuttavia riuscita.

La trascrizione grafica di certi suoni della parlata veneta è stata rispettata. Per questa singolarità il traduttore ha tenuto presente il libro “L’ultimo cantastorie” di Antonio Moret, il quale osservò come solo tre grandi popoli posseggano la pronuncia “th” per la “z”: il Greco, l’Inglese e, appunto, il Cenedese.- Ha quindi ragione Zingarelli quando avverte che “pronunciare e accentare bene è meglio che tradurre o adattare male”.

Il traduttore non curò soltanto la fonetica. Egli volle dimostrare che il veneto non è una lingua da relegarsi nei mormorii domestici, come si insiste. È invece in grado di esprimere concetti spirituali, come la poesia, ed altre asperità come la filosofia. Egli è un uomo di scuola, ma in contrasto con la scuola stessa se questa insegna che esiste soltanto la lingua ufficiale.- A chi sostiene che il dialetto è soltanto orale, cioè limitato, Nerio de Carlo sembra ricordare che la lingua italiana è stata d’altronde per secoli solo scritta, cioè angusta!

Si ha motivo di ritenere che il traduttore del Cantico sia in buona compagnia. Luigi Pirandello disse infatti che “la lingua esprime il concetto, ma il dialetto il sentimento di una cosa”. Fabio Dopflicher, poeta triestino, concluse che “il dialetto è la più profonda delle lingue”.- Quale germanista Nerio de Carlo potrebbe anche assicurare che per J.W. Goethe, a giudicare dal suo rimare, la lingua madre fosse il dialetto dell’Assia. Questo potrebbe bastare, ma egli ama aggiungere tre verità: 1) “i dialetti sono torrenti che riforniscono la lingua maggioritaria, la quale viene dopo e che, senza di loro, sarebbe uno stagno”; 2) “la traduzione del e dal linguaggio dei segni, usato dai sordomuti, indica che anche questo ha i suoi dialetti”; 3)”Se i vecchi morti ci comparissero, parlerebbero in dialetto e molti di noi non sarebbero in grado di comprenderli”.

La Redazione del Blog

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