venerdì 21 gennaio 2011

Sonia Ros


Credo che, per presentare le opere di Sonia Ros e poter così meglio comprendere il giudizio che autorevoli critici hanno espresso riguardo alla sua arte, fosse utile e doveroso aprire questo spazio artistico, al visitatore, con gli scritti del prof. Maurizio Martelli ( che è stato titolare di cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia); scritti questi estrapolati dal catalogo della mostra tenutasi ad Asolo, in provincia di Treviso, dal 26 maggio al 9 gennaio 2007 dal titolo – DALL’ACCADEMIA ALLA FORNACE nuove sinergie per l’innovazione e la creatività – della quale fu il curatore con il prof. Luca Bendini (Accademia di Belle Arti di Venezia) e la Signora Silvia Rossetti di Carisma Contemporaneo.

Mario Borsoi

Sonia Ros

Alterità è la parola chiave: realtà “altra da me”, altra rispetto ai consueti canoni di rappresentazione, ma ben presente nella necessità inconscia di una nuova rappresentazione pittorica. E lo scandaglio cala nel mondo onirico dell’immagine organica, quella appena sotto la pelle dell’apparenza visiva: il mondo altro. Quello di Sonia Ros è un lavoro che segue senza imbarazzi e timori reverenziali le strade della pittura. Le tele permettono un’esperienza spaziale in una dimensione “utopica”, in cui fluttuanti elementi “organici”, quasi reperti pseudo-anatomici, risultano collegati da esili trubicoli: l’assieme disegna immaginifiche“macchine” il cui confine fra organico e artificiale è indistinguibile. Le apparizioni cromatiche sottolineano il racconto fantastico.

M. Martelli

DALL’ACCADEMIA ALLA FORNACE

-nuove sinergie per l’innovazione e la creatività –

Preferisco il silenzio.


La pittura si respira e va lasciata entrare dagli occhi, a riempirti testa e cuore come un buon bicchiere di vino.

Amo gli artisti di poche parole, e che Dio ci perdoni tutto quello che di inutile si è detto e scritto sull’arte.
Avrà tanto da perdonare.

Ma il ruolo che ricopro e l’occasione di una mostra di giovani artisti costringe a dire:

NELLA NOSTRA SCUOLA SI INSEGNA A RESPIRARE LA PITTURA; NON SI INSEGNA A DIPINGERE.

Non nel significato banale e corrosivo del termine.
Si crea piuttosto un clima; si affinano tecniche e strumenti, si allargano orizzonti culturali, si progetta insieme, si verificano percorsi, rispettando personalità e pulsioni diverse.
Ed infine si aspetta pazientemente che il lavoro, solo il lavoro, dia risultati.
Scuola di pittura è soprattutto “laboratorio”; non solo, ma soprattutto.
Laboratorio di mani e di idee.
Tutto qui.

Da questa scuola non aspettatevi parole o bei concetti da affidare a messaggi sublimali sistemati con disinvolto e supponente pauperismo, tanto snob in luoghi deputati e ben “curati”.
Le noisette vestali della “nouvelle cuisine” dell’arte torceranno il naso.
Già messo in conto.

Da noi non si fa così.

Abbiamo un sentimento forte e non rettorico del fare e la parola bellezza non ci intimidisce; non ci incantano le sussiegose bagatelle, le modeste trovate da gardaland dell’arte, le pensose scoperte del nulla.
È l’occasione, questa mostra, per vedere tante strade, personalità distinte, attenzioni di fare molto diverse, ma accomunate da una sola passione e serenamente disposte al libero gioco di sempre:

io faccio, tu vedi.

MAURIZIO MARTELLI –
Titolare di cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia.

Pensieri gelati


tecnica mista, acrilico e olio su tela
cm 206 x 164
2007
Sonia Ros

La sprezzatura

Fin da quando l’artista traversava la fase del cosiddetto “tirocinio”, peraltro già scandita da episodi creativi sostanziosi e felici, ogni esposizione di Sonia Ros rappresenta un evento.
La cosa ha in sé dell’eccezionale, dal momento che le occasioni di rilievo hanno avuto cadenza assai ravvicinata e gli allestimenti sono stati costantemente frequentati da un cospicuo numero di “amatori”, che solo in minima parte appartengono alla categoria dei “conoscitori” delle vicende artistiche contemporanee; quegli amatori, insomma, che ci si spetterebbe di incontrare solo in occasioni “confermative”, quando ad esporre è un artista consacrato, il cui linguaggio è da tempo sedimentato e sostanzialmente ripetitivo.
Invece, forzando i termini “matti e disperatissimi” le tappe del suo processo evolutivo e presentando in ogni occasione solo il segmento più avanzato della sua produzione, Sonia Ros ha offerto sempre nuove ragioni di scoperta, di discussione e di stupore, sollecitato dalla declinazione di una grammatica inusuale, concettualmente complessa, e tuttavia in grado di comunicare con sorprendente immediatezza.
Ritengo che con questa proprietà comunicativa dipenda dalla lucidità d’intenti dell’artista. Partita da composizioni “di figura”, nelle quali trasparivano i riferimenti alle dissonanze, all’irrequietezza e al lirismo erotico propri dell’arte mitteleuropea del primo Novecento, Ros ha focalizzato subito un suo interesse tutto particolare per il Corpo, inteso come unità somatico-spirituale e archetipica sorgente d’energia.
Anche nel delicato passaggio dell’abbandono della figurazione, la pittrice ha dimostrato chiarezza d’intenti.
Le impennature e gli “sfigmi”, che in una prima sintesi contrappuntavano i brani di pittura materica, così come le liquide luminosità, le trasparenze pastello, la sperimentazioni ora gradevolmente “ipertonali”, ora rotte da dissonanze acide e “antigraziose” delle prove successive, non sono in alcun modo riconducibili a un “atto di osservanza” all’accademica declinazione astratto/informale del Novecento maturo (che, anche per motivi anagrafici, Sonia Ros non poteva che considerare come retaggio anacronistico, se adottata “in toto” e con pedissequa osservanza).
Le sperimentazioni di cui l’artista ha fatto uso sono invece indizi del caparbio affinamento linguistico, che è passato attraverso l’appropriazione e la libera rilettura del capriccioso grafismo di Tancredi, del gesto di Mathieu, della cifra segnico-evocativa di Cy Twombly, del “primitivismo” di Pinot Gallizio, del repertorio astratto-surreale di Sebastian Matta. Queste reinterpretazioni non hanno mai rappresentato finezze formali fine a se stesse. Sono risultate invece necessarie per esprimere, in termini sempre sorvegliati e motivati, la fondamentale fedeltà alla macrotematica individuata nelle prove iniziali: l’epifania del Corpo, divenuto, nell’evoluzione espressiva, mondo totalmente esplorabile, spazio pervio, luogo pulsionale, “macchina” del desiderio.
Il tema è divenuto evidente nelle opere del 2006, quando i singoli segni, caricati fino ad allora di autonoma significazione, si sono ordinati in forme di sublime consistenza, identificandosi in ampolle, tubicoli, vesciche e simil-organi. Sonia Ros inventava, in quelle tele, elaborati organismi non tanto organizzati quanto organizzabili: apparati antinaturalistici, labirintici, disponibili a essere letti attraverso i differenti percorsi di volta in volta identificati dal desiderio dello spettatore.
Poco tempo è oggettivamente passato da allora, ma profonda e laboriosissima è stata la revisione a cui Sonia Ros ha sottoposto i suoi strumenti espressivi. L’atmosfera algida o vitrea, l’insistenza dei grigi, la dominante acquorea, da cui emergono elementi vagamente anatomici, appena leggibili, eppure evocati con precisione istologica, tipici dei lavori di qualche anno fa, hanno lasciato spazio a una nuova consistenza e plasticità delle forme, sostanzialmente concluse e rispondenti a una differenza compattezza compositiva, enfatizzata nel suo dinamismo da uno sfondo a campitura piena, piatta, monocroma, talora volutamente neutro, talora enfaticamente squillante di rossi, di gialli ocra, di blu. Se, nella loro complicata aggregazione, queste forme sono caratterizzate dalla fluttuante leggiadria dell’organico e da effetti volumetrici, tuttavia non disdegnano di contaminarsi con elementi geometrici bidimensionali, in una inedita sintesi bionica dall’impatto quasi “pop”. Una sintesi che si direbbe orientare la composizione verso l’astrazione pura, se non fosse che, nelle prove presenti, l’invenzione è ottenuta attraverso una sorta di patchwork di ascendenza surrealista, grazie all’inserzione di elementi eterogenei e ancora una volta inaspettati, che giungono a mimare, con realistica esattezza, la stoffa, la piuma, il vello animale, la peluria corporea, le ciglia. Non può passare inosservato il fatto che, per la presente esposizione, si sia operato per il titolo, a una prima lettura sibillino, Autoritratti. Esso certamente lascerà perplesso chi si aspetti do trovarsi di fronte a una serie di opere rispondenti a un genere pittorico storicizzato. Tuttavia non deluderà chi saprà cogliere il senso del “teatro del Sé” approntato dall’artista, che si espone anche nel suo essere-donna in modo per nulla retorico, ma comunque radicale e provocatorio: un gioco metonimico, che mette in scena, in termini quasi joyciani, non la totalità (irrappresentabile) dell’Io, ma gli elementi dell’auto-rappresentazione e della rappresentazione sociale, che danno consistenza alla riflessione sul Corpo al femminile, al quale sono inscindibilmente connessi gli elementi di seduzione e di travestimento che la femminilità adotta e “incorpora”: i vestimenti, gli accessori cosmetici, i paràpherna, ovvero quegli oggetti “intimi” , che un antico termine giuridico indica come “estranei a ciò che ogni donna porta in dote”.
È facilmente ravvisabile, anche in questa nuova stazione dell’avventura espressiva di Sonia Ros, il filo rosso che collega le opere più recenti alle precedenti, rappresentato dall’indagine della corporeità come veicolo dell’eros; un eros obliquo, che tutto pervade e che pure è proposto senza alcuna sottolineatura dissacrante o trasgressiva; anzi, è tenuto costantemente sotto traccia, sussurrato e alluso con ironia.
Ma in queste opere è ravvisabile anche l’ulteriore approfondimento espressivo, che pur confermando il definitivo congedo da ogni modalità rappresentativa, secondo i dettami di una contemporaneità profondamente assimilata, tuttavia non rinuncia a mantenere un contatto costante e diretto con “la vita” ,intesa come personale circostanza, incidente, aneddoto, fatto minimo, gesto quotidiano, significante al di là di ogni pretesa interpretativa, attraverso un linguaggio agile e immediato.
In questo senso, le opere recenti di Sonia Ros, che coniugano concetto e sensualità con disinvoltura magistrale, riattualizzano la sprezzatura di cui parla Baldassar Castiglione nel Cortegiano, che consiste nell’abilità di proporre “cose rare e ben fatte” facendole apparire facili, concepite “senza fatica e quasi senza pensarvi”. È questa leggerezza a suscitare, in chi guarda, il senso di “meraviglia”.

Fabio Girardello

Tantra

-[…]Sicché l’arte è un sogno sostenuto-

-Ma a metà fra il tempo-spazio e il mondo angelico, alla soglia di
questo mondo, è il massimo dell’inganno e della seduzione-

Pavel Florenskij, Le porte regali

Non è facile parlare di Sonia Ros e della sua pittura necessaria; è inadeguato infatti il consueto approccio
‘cool ‘ all’arte contemporanea – miscela di sofisticato impegno e suggestioni multi linguistiche – né questa artista può essere arruolata a forza tra i protagonisti dell’attuale, mediocre ritorno all’ordine i cui esiti sono, per lo più, decorativi.
Le opere di Sonia, e basta considerare soltanto le immagini di questo catalogo, si offrono a noi come un tutto organico di visione e narrazione; accendono emozioni, evocano antiche certezze: echi di chiarezza classica e di profonda, romantica familiarità.
Nel suo percorso artistico, Ros di volta in volta ha raggiunto e superato tappe certamente ineludibili ma comunque provvisorie, sino ad arrivare allo shock, ad un vero e proprio trapasso che ha consumato dubbi e reso superflue ulteriori approssimazioni.
E’ venuto meno il bisogno istintivo di dipingere ‘ tutto quello che si vede ‘ nella raggiunta consapevolezza che ricchezza, abilità esecutiva, fecondità, possono portare soltanto a regressione quando prevalga la presunzione di poter rappresentare o, peggio, lasciar libera la propria immaginazione.
L’avvenuto passaggio nella dimensione dell’ immaginazione esatta, dove ogni fantasticheria è abbandonata, annulla la distanza tra artista e opera, rende irreversibile la fusione tra chi è visto e chi è visto a sua volta può “vedere”.
Nella sfera dell’evento estetico la soggettività, le sue concrezioni, la sua inveterata abitudine ad esserci, sono illuminate da una luce crudele; l’artista, che sa districarsi e agire in questo mondo sottile, deve mettere a completa disposizione la propria persona , corpo e anima, per trasformarla alfine nell’opera.
Sonia Ros ha intrapreso con fermezza il proprio viaggio sciamanico nell’arte, ha deciso di raggiungere, nelle proprie creazioni, l’indissolubilità di io e mondo, sapendo che sarà ottenuta al caro prezzo di non poter più riconoscere la propria rassicurante parvenza.
Autoritrarsi , a questa condizione, è vero e proprio atto d’amore, che traghetta il desiderio oltre ogni forma riconoscibile.
Nell’io –mondo noi riconosciamo gli oggetti essenziali della fisicità: organi, movenze, congegni, velluti, piume, mantengono viva e scintillante la presenza dell’eros e del suo cosmo; essi ci offrono ancora quanto è necessario alla nostra vita, ma non possono più consolarci con la loro allucinatoria promessa di possesso; il corpo visionario dell’artista ci indica la direzione di un’ascesi senza dei e senza garanzie.
Questa straordinaria metamorfosi dei sensi e delle immagini non potrà mai essere viatico di salvezza, dunque, ma ci costringerà ad accettare tutti i rischi che verità e bellezza impongono.

Silvio Fuso













TANTRA
-[…]So art is as a sustained dream-
-But in between time and space and an angelic world, on the
Threshold this world, is the peak of deceivement and of seduction-.

Pavel Florenskij, The Royal doors


It is not easy to talk about Sonia Ros and of her essential painting; the usual ‘cool ‘ approach to modern art – a mix of sophisticated commitment multi-linguistic fascinations – is inadequate, and neither can this artist be enlisted by force amongst the protagonists of the contemporary, mediocre return to order, the results of which are mainly, decorative.
Sonia’s works, even considering the images of this catalogue, offer them-selves like an organic whole of vision and narration; they kindle(or excite, strike)emotions, they evoke ancient certainties: echoes of classis clarity and of deep, romantic familiarity.
In her artistic journey, Ros has time after time reached and gone beyond definite unavoidable yet temporary stages, finally arriving at a shock, to a real passage which has consumed doubts and made further approximations superfluous.
The instinctive need to paint ‘everything that one can see’ has come lees in the achieved knowledge that richness, technical skills, wealth, can only bring to regression when the presumption of being able to represent or, worst to set the imagination free prevails.
The passing events to the dimension of exact imagination, where every reverie is abandoned, annuls the distance between the artist and work of art, it makes the fusion between who is seen irreversible and who is seen can in his own right “see”.
In the sphere of the aesthetic event subjectivity, its concretions, its inveterate habit of being present, are illuminated by a cruel light; the artist, who knows how to extricate herself and act this subtle world, must make her own person, body and soul, completely available to transform it finally in the work of art.
Sonia Ros has undertaken with firmness her own shamanic journey in art, has decided to achieve, in her creations, the indissolubility of the self and the world, knowing that it will be obtained by the dear price of not being able to recognize anymore her own reassuring appearance .
Self portraying is, at this condition, a true act of love, which bring across desire beyond every recognizable form.
In the I-world we can recognize the essential objects of physicity: organs , movements, devices, velvets, feathers, keep alive and sparkling the presence of eros and of its cosmos; they still offer us what is necessary for our life , but they cannot console us anymore with their hallucinating promise of possession; the visionary body of the artist shows us the direction of an hermitage without gods and guarantee.
This extraordinary metamorphosis of the senses and images will never be able to be viaticum of salvation, ergo, but it will force us to accept all the risk that truth and beauty impose.

Silvio Fuso

Nessuna calma, neppure apparente

La pittura di Sonia Ros, implacabile conflitto tra desiderio e preclusione, è linfa, calore, gelo umidità che fluisce nel colore e trova la sua forma. La realtà è incompleta, tutto si intreccia, le cose accadono. Ogni quadro nasce senza progetto, ubbidendo ad un impulso, è piacere e dolore che si sposta e plasma. Davanti al vuoto della tela la mano cerca una presa, trova un appiglio ed è la prima immagine che si concreta a dare avvio, in un combattimento o in una danza, alla figur/azione. Dipingere è dislocare, in uno sdoppiamento tanto necessario quanto vitale. L’atto è un rituale privato, è scendere in profondità, e, in una vertigine lucidamente operativa, scuoiarsi: nei quadri mi rigiro, esterno quello che ho dentro. Il dentro che è insieme materia grezza e energia sottile, palpita estroflesso, anatomia figurale, con le sue morbidezze e le sue granulosità, per assumere, nella metamorfosi artistica che rende universale un pensiero, la sua giusta conformazione pittorica.
Con la potenza di una spinta istintiva, sprigionate da un’emozione che preme, le forme si torcono, tendono, gonfiano, crescono in un organismo dinamico che procede per scosse e onde, attraverso luci e gradi differenti di ombra. Fatalmente risucchiato in un contenuto visivo ammaliante, lo sguardo osserva la materia viva che cola, si rivolta, fiata; cercando un aggancio nel titolo s’illude di riconoscere sagome che possano evocare oggetti, una -guepière di="" carne=""- o una -lingua callosa=""-, calamitato e poi, ineluttabilmente, bloccato, negato e conquistato.
Quanto accade nel corso dell’esistere entra negli occhi come figura, nelle narici come profumo delle cose, nella bocca come sapore o disgusto della vita devo sentire e sentire fino in fondo, ogni impressione è incorporata e lavorata dall’ “enzimatico” processo dell’immagin-azione che incessantemente trasforma e sbriglia febbrili mescolanze di riso e turbamenti.
Forme tornite, morbide e poi ruvide, esibite, ambigue, bulimiche, dense di umori rossi carminio, come frutti offerti con la polpa al gusto, raffinatissime e lisce come pelli da accarezzare con il rosa cipria, pelliccette di pelo morbide o ispide, simulacri di carni frementi da cui sbuffano lacerazioni aperte ad accogliere perle d’azzurro, liquide come occhi di animali di un mondo sommerso, sconosciuto e misterioso che emergono da profondità acquose, sono una persona liquida, ho bisogno delle mie liquidità, vertiginosi baratri e repentine luminescenze, portate alla luce da strati sovrapposti di trasparenti velature.
Giallo gelosia, Noi avidi di rosso e ogni opera di Sonia Ros sbalza sulla superficie pittorica animata da intrepide briglia e trattenuta dal ferreo morso che nella vita, come nell’arte ha la missione di sublimare l’impeto delle forze. Nello spazio della rappresentazione vuoti e pieni si urtano, tastano e aggregano, combinazioni plastiche compatte dai colori accesi, arancio, neri, gialli, rossi si toccano e s’incontrano, lambite o avviluppate da striature di blu, bianchi o rosati, ambigui filamenti che, fruste incalzanti di bellezza pregne feriscono o, scivolosi tubi di viscere avvincono con la leggera malia di nastri colorati.
Si avverte, assorbito o raggelato nel colore un potere oscuro che, inesploso, sta. In sospensione. In questi organismi in formazione l’essenza allo stato puro, magnifica nella sua resa estetica, sprezzante le classificazioni di figurativo o astratto si definisce pittoricamente.
Le opere appaiono, ansiose forme del desiderio sbulbi, madidi getti di segretezza nutriti di un colore raffinato, sapiente, sensuale e tremendo nella sua pienezza, irrompono e trovano perfezione nello spazio pittorico, attivando lo spazio dell’esistere. Nessuna calma neppure apparente. La pittura è per Sonia Ros lasciar assaporare agli occhi la verità della carne.

Myriam Zerbi











NO CALM, NOT EVEN APPARENT

Sonia Ros’s painting, implacabile conflict between desire and preclusion, is like lymph, warmth, humidity that flows inside the colour and find its own form. Reality is incomplete, everything is interwoven, things occur. Each painting is born without a project, obeying to a impulse, it is like pleasure and pain that move and mould. In front the emptiness of the canvas the hand seeks something to seize, it finds a handhold and it is the first image that puts itself into concrete form which sets, as in the battle or a dance, the figure/action.
To paint is to displace, in a disconnection which is as necessary as it is vital. The act is a private ritual, it is like going down in depth, and losing skin in a lucidly operational vertigo: in my paintings I toss and turn, I project outwardly an inner part of myself. That part which is at once raw matter and subtle energy, palpitates developing itself outwardly, as figurative anatomy, with its delicacies and its granulous aspects, achieving, through the artistic metamorphosis which makes a thought universal, its correct pictorial conformation.
With the power of an instinctive thrust, shapes twist, stretch, burst, levitate, exhaled by an urging emotion, they grow within a dynamic organism which proceeds by fits and starts and waves, through lights and different degrees of shade. One’s sight observes living matter dripping, turning over, breathing, fatally sucked into a captivating visual content; seeking a link in the title it has the illusion of recognizing silhouettes which might evoke objects, like a “Guepière of flesh” or a “Callous tongue”, it is magnetically drawn towards it and then, inescapably, blocked, denied and conquered.
What occurs in the course of its existence enters the eyes as a figure, the nostrils as the smell of things, the mouth as the taste or the disgust of life, I must feel and feel all the way, each impression is incorporated and wrought by the “enzymatic” process of imagin-action which unrelentingly transforms and unbridles feverish mixtures of laughter and disturbance.
Well rounded, soft and then rough, displayed, ambiguous, bulimic forms, dense with carmine humour, like fruits that offer their pulp to taste, extremely refined and as smooth as skin to stroke with cipria pink, soft or bristly furs, simulacra of quivering flesh from which laceration puff and are open to greet azure blue pearls, as liquid as eyes of animals of a submerged, unknown and mysterious world, that emerge from watery depths, I am a liquid person, I need my liquidities, vertiginous chasms and sudden luminescent spurs brought to light by overlapping layers of transparent glazes.
Yellow jealousy, we avid of red and every work by Sonia Ros bounces to the pictorial surface animated by intrepid bridles and held back by the iron morsel that in life, as in art, has the mission of sublimating the impetus of forces. In the space of representation, full and empty spaces collide, they touch and aggregate, compact three-dimensional combinations with bright colours, orange, black, yellow, red, touch and meet, lightly brushed or enveloped by streaks of blue, white or pink, ambiguous filaments that, like impatient whips full of beauty strike or, like slippery tubes of internal organs enthrall with the light charm of coloured ribbons.
One can perceive a dark power, absorbed or frozen into the colours, that lies unexploded. Suspended. In these organisms in formation, essence in its pure form, magnificent in its aesthetic output, contemptuous towards figurative or abstract classifications, defines itself pictorially.
Eager forms of the de-bulbs desire, drenched flushes of secrecy nourished with refined and knowingly chosen colour, sensual and tremendous in its fullness, the works of art burst and find perfection in the pictorial space, activating the space of existence. There is no calm, not even apparent. Painting is for Sonia Ros to let the eyes savour the truth of the flesh.

Myriam Zerbi

A Cavallo

“A Cavallo” è il titolo dell’esposizione dei lavori recenti di Sonia Ros, un titolo che vuole rendere omaggio alla XVI Manifestazione del Palio delle Contrade di Cappella Maggiore e insieme all’iter artistico di una pittrice acuta e sensibile, impegnata a percorrere la scena europea con soluzioni narrative in continua evoluzione e di grande impatto visivo.

Da sempre attratta da una figurazione che suggerisce ma non rivela , da un gioco metamorfico di forme, da perimetri curiosamente concatenati e allusivi di substrati vitali e primordiali, , l’artista sembra giungere, qui, ad una maggiore definizione e forza compositiva , ad una costruzione più rigorosa del mondo che appare in superficie. Il fondo emerge più chiaro, compatto, mostra colori intensi e saturi, di una bellezza certe volte adamantina e su questo schermo piatto, puro e levigato, Sonia Ros da corpo a visioni contaminate dove la rappresentazione è riconoscibile da qualche dettaglio che i titoli delle opere inducono a svelare.

Sfilano, secondo una sequenza personale di codici, brani pittorici appartenenti ad una narrazione ibrida che misconosce il confine di umano e animale, di razionale e irrazionale, di geometria e astrazione.
Un universo di forme ectoplasmatiche, amebiche, ingigantite nelle enormi dilatazioni parietali, si lega ai profili vagamente identificabili di membra umane spezzate, disarticolate, proiettate in un vuoto pneumatico che le avvolge e le tiene sospese.

Inserti meccanici, rigidi e spigolosi, campiture monocromatiche prevalentemente di colore nero, delimitate e precise, oppongono resistenza alle deformità naturali e sembrano controllare l’espandersi eccessivo delle membrane e delle pelli che racchiudono sostanze indecifrabili.

L’assenza di gravità e di qualsiasi logica spazio-temporale consegnano la visione al dominio dell’immaginazione e di un’affabulazione intrisa di reminiscenze iconografiche primitive, ancestrali, sorprendentemente poco umane. Si tratta di composizioni che tolgono il fiato, quasi spaventano per le inaspettate vertigini associative, per le germinazioni progressive che affiorano in superficie senza pretese di senso, per gli accenti cromatici forti(gli aranci, i rossi, i blu), disposti spesso in modo chiastico e i trapassi tonali inusitati, leggeri e impalpabili nelle variazioni dei grigi, e degli ocra.

Le tele di Sonia Ros non si accontentano di uno sguardo, urtano il pensiero, emozionano i sensi, spiazzano la comune sintassi visiva e al binomio natura-artificio riportano le curiose successioni di parti molli e parti compatte, di linee curve e rette implacabili superfici squamose, sfaldate e zone acuminate perfette, quasi uncini violenti dentro l’assemblaggio compositivo.

Non si ferma l’urgenza creativa di una mente da sempre tesa a sfondare il limite del certo per varcare la soglia , sicuramente più attraente, dell’ipotetica e ineffabile alchimia espressiva, regno indiscusso della pratica artistica.

Lorena Gava

La Maddalena


tecnica mista, acrilico e olio su tela,
cm 203 x 270,
2009
Sonia Ros

Sonia Ros


Sonia Ros

Sonia Ros


Sonia ros

Scatola di pesce


Olio su tela
cm 150 x cm 205
anno 2009
Sonia Ros

Cavallo pazzo (SCHEUES PFERD)


Tecnica mista, acrilico olio su tela,
cm 202 x cm 287
anno 2008
Sonia Ros

Guepìere di carne ( MIEDER AUS FLEISCH)


Tecnica mista, acrilico e olio su tela
cm 136 x cm 282
anno 2008
Sonia Ros

Lingua callosa (SCHWIELIGE ZUNGE)


Tecnica mista, acrilico e olio su tela
cm 136 x cm 282
anno 2008
Sonia Ros

Porpora di leccornie (LECKERBISSENPURPUR)


Tecnica mista, acrilico e olio su tela
cm 150 x cm 205
anno 2008
Sonia Ros

Giro di giallo (GELBRUNDE)


Tecnica mista acrilico e olio su tela
cm 180 x cm 205
anno 2008
Sonia Ros

Il Traduttore

Egli non è inquadrabile in alcuna tendenza politica o didattica, ma evidenzia un chiaro influsso della civiltà mitteleuropea, la quale non è una dimensione storica, ma un destino. I contorni della Mitteleuropa sono infatti immaginari, come ricordava Milan Kundera, e devono essere ridisegnati al formarsi di ogni nuova situazione storica.

La sua formazione cosmopolita e non convenzionale non deriva dalla scuola pubblica, che egli non ha praticamente frequentato. Anche la laurea in Lingue e Letterature straniere moderne e la autorevole certificazione delle conoscenze linguistiche sono state rispettivamente conseguite presso un prestigioso Istituto Universitario non statale e, tramite il Goethe Institut, presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera.- Non sussistono, pertanto, debiti di riconoscenza verso altre Istituzioni.

Oltre a numerosi saggi, De Carlo ha pubblicato le opere di narrativa “Una battaglia per Sacile”, “Le stelle forse non esistono nemmeno”(novembre 1991), “La leggenda del Santo Trovatore”, “Il popolo nascosto” (aprile 2002), “La luna e il pozzo” (marzo 2010). Egli è inoltre autore delle poesie dell’emigrazione (Poènta e scopetòn) , di una monografia sui Principi di Collalto nonché traduttore dal tedesco di fiabe per la gioventù, dell’antico manoscritto frisone “Ura Linda” (aprile 1989), del “Memorandum per Lethbridge” (luglio 2006) dell’Imperatore Carlo I. d’Asburgo, del fondamentale libro di Erich Feigl “Mezzaluna e Croce: Marco d’Aviano e la salvezza d’Europa”, come pure del documentario dello stesso Feigl “Una battaglia per Vienna”. Egli è anche autore delle dediche sulla targa stradale della v. Marco d’Aviano a Conegliano e sul piedistallo del monumento a Vallonto di Fontanelle: “ Seguì la croce senza vantarsi di averla portata”.

Nel 1994 e nel 2000 Nerio de Carlo ha partecipato, quale relatore, ai Convegni internazionali su “I PORCIA” e su “I MINUCCI” organizzati a Vittorio Veneto dal “Circolo Vittoriose di Ricerche Storiche”.- Nel dicembre 2007 egli ha partecipato, quale relatore, al convegno di studi “PETRARCA A MILANO”, patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Milano.

Nel luglio 2006 è stata pubblicata la biblica “Canthòn de-e canthòn” (Il Cantico dei Cantici) tradotta in parlata veneta a dimostrazione che questa può esprimere anche i più alti e poetici concetti.
Per la didattica della lingua tedesca egli ha pubblicato “La declinazione degli aggettivi”, “Le preposizioni”, “Le congiunzioni”, “I verbi separabili”.-

La sua collaborazione alle Ricerche sull’archeologia del diritto e delle tradizioni popolari (dirette dal Prof. Louis Carlen dell’Università di Friburgo) consiste nei seguenti contributi in lingua tedesca: “Il ruolo del Monte dei Pegni di Padova”, “Feste sveve in Puglia” (vol. 7), Carnevale in Friuli: contrasti tra autorità religiose e tradizioni popolari” (vol. 8), “Alla ricerca della femminilità perduta in Friuli” (vol. 9).

Per la critica letteraria, storica e artistica sono stati pubblicate le sue opere: 1866 – L’anno delle cicatrici (2007), Andreas Hofer in der deutschen Literatur (Andreas Hofer nella letteratura tedesca, 2008), Das Denkmal des Faschismus (Il monumento del Fascismo, 2010) e Il monumento del regime (2010).

Il suo interesse per la Grande Guerra, combattuta nei pressi del suo paese d’origine e non esente da implicazioni familiari, lo ha portato a realizzare sia i quattro volumi “1918 – l’anno del Piave” aprile 2003), “La battaglia del solstizio” (maggio n2003), “La guerra nelle retrovie del Piave” (settembre 2005) e “Dialettica dell’Armistizio 1918” (aprile 2008), sia il testo del filmato “Sulle orme della Grande Guerra” (2008).

Opere in preparazione: “Ána Catarina” e “Dossier delle villanie ricevute”.

[www.neriodecarlo.blogspot.com]