domenica 8 agosto 2010

QUANDO IL RICORDO SI FA POESIA.


I ricordi della prima giovinezza sono di solito quelli che una persona ama proporsi con più tenerezza durante le diverse tappe della propria vita.
Questo, non tanto per i fatti che l’hanno vista partecipe di questo o quell’evento, ma principalmente per come il suo animo e la mente, non ancora distorti da modelle consumistici, si siano sentiti coinvolti nella semplicità dei sentimenti che hanno così impresso, nella sua memoria, l’indelebile ricordo di quel vivere ora trascorso.

Così, i ricordi delle molteplici situazioni della vita entrano a far parte della nostra cultura attraverso un sentimento. S’imprimono, vivono nel tempo che scorre sopiti in noi, e in noi ritroveranno, nel presente futuro, un senso all’esistere, all’esserci per un successivo avvenire.
Se poi sono richiamati alla memoria da quei brevi attimi d’intimità che la persona, a volte, sente ridestarsi in lei per un confronto con il presente – e perché no, con un velato senso di nostalgia – spesso l’aiutano a maturare, in quei momenti in cui l’animo si sente svilire ma non sopraffare da un vivere consumistico, e a cercare così, come fosse un bisogno vitale, un significato che abbia valore per dare, nei successivi passi, una nuova impronta al proprio agire nel confronto d’ogni giorno: l’ideale da imprimere alla propria esistenza, come meglio spenderla.

E’ un dialogo che spesso si compie in ognuno di noi e che avviene nella nostra mente con stati d’animo diversi e nei momenti più inattesi della nostra quotidianità; come se questa – la mente – fosse attratta da uno schermo velato e svelato dal sovrapporsi delle stagioni, e da una mano invisibile che fa ripercorrere e rivivere nel nostro essere anche tutto un mondo di sensazioni ancora viventi in noi: scordate, forse, ma non svanite; e fossimo noi – e lo siamo! – bisognosi d’ascolto d’intima riflessione, di confronto nonché di esaminare quel segreto colloquio che, dispiegandosi come da un libro, dalla voce dell’intimo silenzio, ci distingue e ci unisce nel nostro presente fondendosi nel passato.
Un colloquio fatto sul filo invisibile dei ricordi che, seppure siano di un passato oramai trascorso, hanno un loro significato che non si disgiunge dal confronto con il presente. Un passato al quale rivolgere le nostre domande fatte di certezze ed inquietudini a volte profonde,

Così ti puoi ritrovare sulla via di casa ripercorrendo, nel tuo pensiero, quelle due strade parallele che ti riconducono al punto d’incontro che ci riunisce all’infinito. E dall’intima voce del silenzio, camminando in una fredda sera, sentir riaffiorare un mondo famigliare: quello del tempo delle “Filandaie”.

Un modo che era anche il mio mondo e al quale mi sentivo, nell’intimità di fanciullo, vicino: con affetto. Un mondo che di tanto in tanto rivive venendo da un passato che non è mai trascorso, perché ancora vivente in me.
Di giorni vicini, seppure lontani nel tempo, fatti di sorrisi, di amarezze e speranze; e dove la vita sebbene non prospera di beni come oggi, era amata per quello che ci dava.

Da quel profondo mare che vive, ed esiste nell’animo umano, rinascono le parole d’un sentimento che, trascritto in brevi lettere e ricadendo sulla superficie di un foglio bianco, ridanno vita a un susseguirsi di sensazioni, sentimenti, come una foglia che portata dal vento, cadendo su uno specchio d’acqua, dà vita a quei cerchi concentrici che rinascono gli uni dagli altri: così, come il ricordo delle nostre esperienze passate. Si fanno poesia:

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