venerdì 9 luglio 2010

LEZIONI DI STORIA

La nostra città lacustre aveva alcuni dei più rinomati istituti scolastici della regione, ma la cittadinanza non dimostrava particolare propensione per la cultura in generale e per la storia in particolare. I giovani poi non erano coscienti delle fatiche sostenute dagli insegnanti per la loro istruzione. Eppure sarebbe stato sufficiente pensare alla pazienza di questi ultimi di fronte a tanta ignoranza per provare riconoscenza!
Un professore di storia, rigorosamente scapolo, attirava tuttavia la simpatia degli studenti. Essi potevano frequentare di pomeriggio la sua casa che si trovava presso una piazza dove, così si diceva, una gallina era stata bruciata sul rogo molto tempo fa per essersi trasformata in gallo. Le sorelle del docente, rigorosamente nubili, offrivano biscotti, castagne secche e carrube perfino. C’era inoltre la possibilità di imparare qualche nozione eventualmente sfuggita durante le lezioni di storia. Per esempio che l’umanità non ha una sola dimensione ma, come diceva Johann Gottfrid Herder, appare quale un albero con le foglie, fiori, frutti colori diversi, che si mescolano e confluiscono come quelli delle nuvole nel fulgore del tramonto.
Un giorno il professore disse:”Poiché questo è l’anno santo, se qualcuno va a Roma cerchi di procurare alcune cartoline dei fori imperiali e dei templi antichi. Da un po’ di tempo lo storicismo invertebrato insiste tanto sul fatto che noi siamo romani e, nonostante le prove in contrario le quali ammettono soltanto una lontanissima presenza fiscale e militare di emanazione romana, non è ammessa nessuna contraddizione. Strano è che tutti qui ci abbiamo creduto. Non mi voglio mettere contro il potere e quindi vorrei realizzare, benché contro voglia, alcuni grandi cartoni con immagini di come poteva essere il foro della nostra città secondo gli auspici dei fondatori della romanità, se non fosse stato com’era in realtà, cioè un foruncolo. Per questo mi serve un’ispirazione”.
Nel frattempo, per far risaltare supposte dimensioni capitoline, la scuola e la stampa avevano accuratamente decaffeinato ogni riferimento alla storia locale. Eppure in un paio di millenni doveva essere pur accaduto qualcosa anche da noi. Nulla da fare. Neppure l’idea poteva affiorare, che un popolo d’acqua dolce non potesse per definizione appartenere a una penisola bagnata in tre lati dall’acqua salata del mare. Chi nutrisse dubbi sarebbe stato considerato spazzino della verità, cioè colui che allontana “scoàzhe” storiche.

Di fronte allo scetticismo dei ragazzi, il professore disse che la gente di solito crede a tutto. Poi citò un esempio:”Il Pontefice Adriano I era in contrasto con Desiderio, Re dei Longobardi, e chiese aiuto a Re Carlo. Questi aveva sposato la figlia di Desiderio, la mitica Ermengarda, e non aveva giustificati motivi per intervenire contro il suocero. Il Papa Adriano gli inviò allora per convincerlo alcuni doni, il più gradito dei quali risultò un uovo dello Spirito Santo .. – Proprio così. Poiché lo Spirito Santo era apparso in un certo giorno di Pentecoste come una colomba, al Re era stato donato un uovo di piccione come segno della più alta devozione. Il futuro Imperatore e tutto il suo seguito ne furono lusingati e il 2 aprile dell’anno 774 entrarono a Roma come protettori della chiesa. Non sembri quindi così difficile far credere cose improbabili, come un uovo dello Spirito Santo.”

Le cartoline furono acquistate a Roma presso un tabaccaio e servirono veramente per alcune gigantografie riproducesti vestigia contrabbandate come antichità locali: immagini funerarie che evocano solo ruderi e fantasmi. Non mancavano le figure con i ruderi degli acquedotti. A qualcuno era infatti venuto in mente che potrebbero esistere acquedotti i grado di dare più da mangiare che da bere. Non si poteva mai sapere.
Per uniformarsi al nuovo clima auto referenziante, il Comune fece allestire nei giardini pubblici due abitacoli ben visibili: uno per la lupa capitolina e uno per l’aquila imperiale. Il recinto per le oche del Campidoglio era invece in riva al lago, non lontano dall’ufficio dei Vigili Urbani opportunamente denominati Pretoriani: un sito dove, come nei Campi Elisi, sembrava sempre l’ora del tramonto. Alcune signore incominciavano intanto a chiedere agli istituti di bellezza uno speciale trucco chiamato “a pelle d’oca”. Si trattava delle medesime dame convinte che il “pollo alla diavola” fosse un gallo posseduto dal demonio.
Qualche esponente municipale si affrettò perfino ad adeguare il proprio operato alle abitudini abbastanza consuete nelle Amministrazioni romane d’altri tempi, s’intende. Queste, così si diceva, non ascoltavano infatti mai le suppliche dei sudditi, come allora le proposte erano definite. A tale proposito, per la verità, un po’ di colpa era attribuibile alla stampa. I giornali presentavano sovente infatti le Amministrazioni dei Paesi nordici come molto attente alle richieste dei cittadini. Per differenziarsi da tali abitudini consolidate tra i “barbari” bisognava dunque fare per logica il contrario. Non importava se l’urna elettorale assomigliava in tal modo a un esempio di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, dove i voti diventavano semplice scarto.

Alcuni studenti, poco preparati in fatto di storia romana, non vedevano una similitudine tra le consuetudini dell’antichità e certi comportamenti moderni. Furono dunque necessari alcuni chiarimenti dell’insegnante. Il quale spiegò:

1) Giulio Cesare è sempre stato presentato come grande eroe e uomo di straordinarie virtù umane. Plinio il Vecchio gli attribuisce un milione di morti, comprese le vittime del genocidio dei Veneti di Bretagna, durante le campagne nella Gallia Transalpina. Per meglio comprendere le proporzioni si rammenta che la popolazione complessiva dell’Impero si aggirava allora su 4.023.000 cives. Euripide sostiene che Giulio Cesare abbia inoltre stabilito:”Se occorre violare il diritto per regnare, lo si faccia. In tutti gli altri casi si rispetti la Giustizia”. Bisognerebbe tenerne conto per eventuali immedesimazioni.

2) Come è noto , Giulio Cesare fu assassinato nelle famose Idi di marzo. - Marco Tullio Cicerone sostiene , nella seconda filippica, che Marco Antonio era il braccio destro del defunto. Tra le abitudini del personaggio c’era la frequenza di “Comites nequissimi”, cioè di pessime compagnie. – nella sesta Filippica si legge poi che Marco Antonio aveva un grande seguito. Pazienza per i Littori, che oggi sarebbero la cosiddetta scorta. Per un politico come lui si può comprendere. Meno opportune sembrerebbero le lunghe colonne di carri coperti, debitamente attrezzati per il trasporto di leoni, prostitute e parassiti durante le lunghe trasferte nelle Provincie. Le popolazioni dell’Italia annonaria (così erano chiamate le regioni che pagavano l’annona, cioè la tassa per il sostegno della capitale) dovevano assicurare loro accoglienza e generosità, invece che riceverli con torrenziali risate. Si comprende perché poi cotali ospiti non se ne volevano più andare. Non importava se i costi, i disagi e le regalie comportavano impoverimento delle sfortunate comunità. In una moneta d’argento del 32 d.C. Marco Antonio è raffigurato con gli occhi sporgenti, il naso aquilino, il collo taurino. Tutto l’opposto di come appare nel famoso film di L. Mankiewics del 1963. Se ne tenga conto per eventuali celebrazioni.

3) Dopo la morte del saggio Imperatore Marco Aurelio, salì sul trono di Roma il figlio Commodo, nato nell’anno 161d.C. – La storia lo descrive come l’opposto del padre, visto che già all’età di dodici anni fece arrostire nel forno uno schiavo che gli aveva preparato un bagno troppo caldo. Commodo si teneva inoltre cari i peggiori soggetti e quando questi gli furono allontanati, si ammalò. Durante il suo governo mandava inoltre i suoi complici a comandare nelle Province. Questa ombra non gli impedì di farsi divinizzare nelle monete del 188 – 189 d.C. a spese dei sudditi ignari. Tra le peggiori manifestazioni della sua pessima amministrazione vengono ricordati molti casi di peculato e malversazione.
Commodo sperperava sistematicamente il denaro pubblico per allestire combattimenti di gladiatori sia nell’arena che nei parchi pubblici.
Si sappiano regolare certe Amministrazioni.

I giovani si chiesero se, qualora fossero state imitate le inclinazioni di Cesare, Antonio e Commodo in fatto di norme di comportamento, spese pubbliche e spettacoli di gladiatori, ne sarebbe veramente conseguita una bella immagine per le Istituzioni.

Nerio de Carlo

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