venerdì 9 luglio 2010

LA POIANA E LA LEPRE

Racconto di Nerio de Carlo


Dove il parco degrada verso il Rasego accadde un episodio che non avrebbe potuto verificarsi altrove e di cui non sono noti precedenti. Due piccioni si erano scontrati in volo: uno era precipitato esanime sulla riva del fiume. È indiscutibile che i piccioni siano ingenui, ma fino a questo punto sembrava sinceramente troppo!

La scena era stata osservata con sorpresa da una poiana e da una lepre albina. Entrambe erano stanziali. La poiana era una sorta di falchetto con becco robustissimo senza dente e fauci molto fesse, tarso più lungo del dito medio e grande cacciatrice di topi.- La lepre aveva fitto pelame, orecchi lunghi, zampe posteriori più lunghe che la fanno atta alla corsa, al salto, a movimenti agilissimi in ogni verso. I peli erano di colore albiccio e dilavato a causa di un carattere genetico recessivo.

Dopo avere assistito alla collisione diventava evidente che si trattava di un sintomo di stupidità, dal quale nemmeno gli animali erano esenti e che avrebbe potuto diventare contagioso. L’idea di abbandonare la zona endemica e ritornare nei lontani luoghi d’origine era comune ai due animali. La mancanza di topi dovuta alla scomparsa della coltivazione sia del grano nella ricca veste di spighe d’oro, sia delle pannocchie dai grandi denti, era diventato un motivo impellente per la poiana, la quale sospettava inoltre che in qualche pertugio regnasse perfino la rogna. La lepre, invece, non aveva propriamente ragioni alimentari. Essa voleva piuttosto scoprire perché i suoi genitori non l’avessero voluta e fosse stata avviata su un carro alla volta del mercato del mercoledì, dal quale poi si era miracolosamente salvata.

“I nostri paesi nativi sono molto lontani. Con le ali servirebbe una settimana per raggiungerli. Tu ci impiegheresti circa tre mesi. La ricerca dell’identità è dolorosa. Assomiglia a certe radici quadrate: alcune sono immaginarie”.

“Potresti portarmi in volo con te”, propose la lepre.

“Un così lungo periodo senza mangiare mi impedirebbe di arrivare alla meta. Anche per te sarebbe difficile sfuggire per mesi ai cacciatori e ai loro cani”.

“Facciamo così. Tu mi prenderai con te e quando avrai fame potrai cibarti della mia carne. È l’unica possibilità per superare il lungo viaggio. Qui non possiamo più vivere”.

Sembrava un buon accordo, anche se c’erano rischi ed errori di valutazione.

La poiana e la lepre salutarono i salici dai fiori unisessuali, i pioppi dal bel portamento, i tigli con le foglie rugose a forma di cuore, il rameggio sempre verde del bosso, il trifoglio ramoso e le altre tenere erbe di cui si rivestono i prati di Rigole.- Poi partirono verso l’orizzonte lontano come ogni orizzonte.
Il primo giorno trascorse tranquillo. Verso sera ci fu però il primo sacrificio: il codino della lepre. Ma sì, a che cosa serve in fin dei conti un’appendice, un residuo del genere?
Il viaggio continuò e anche le lunghe orecchie sparirono una dopo l’altra.- Poi fu la volta delle zampette anteriori. Se si prescinde dal dolore, ne rimanevano comunque altre due di zampe, diamine!- Certo, anche queste non durarono a lungo ma, tutto sommato, a che servivano le zampe se c’erano le ali amiche?
La situazione si aggravò quando si dovettero sacrificare altre residue parti del corpo. Mancava ormai poco alla fine del viaggio e fu indispensabile intaccare gli organi interni. Stomaco, polmoni, fegato (non la cistifellea) furono dolorosamente divorati.

Erano già in vista le nobili stelle alpine e le genziane dai fiori vistosi. Anche il cuore fu allora consumato. D’altronde anche se avesse continuato a battere, non sarebbe stato possibile stargli dietro. La lepre era morta.
La poiana depose sulla porta dell’obitorio il piccolo scheletro che volle essere così deciso al ritorno e puntuale a dissolversi. Poi un suono scaturì dal becco dell’uccello:”Uzemi, tieni”.
L’accordo era stato rispettato senza tutela contro la morte.
Questa guarisce tutti dalla malattia di vivere. Oltre il recinto del camposanto i defunti sono ormai esenti dall'idea della morte. In caso contrario essi ripenserebbero alle trascorse difficoltà, alle effimere gioie, agli amori più o meno incerti e, in fondo a tutto, alla dolorosa diparta.
Un'angoscia.
Nerio de Carlo.

Nessun commento:

Posta un commento