venerdì 9 luglio 2010

ALTEZZA IMPERIALE

“ Le folle non hanno mai sete di verità. Deificano l’errore.
Chiunque le disillude tende a diventare loro vittima.”

(Gustave Le Bone)

Poco prima della metà di dicembre 1824 i cocchieri ricevettero l’ordine di tenere pronti cavalli e carrozza per una trasferta molto importante. L’Arciduca Ranieri d’Asburgo, Vicerè del Regno Lombardo-Veneto, desiderava visitare le città imperial-regie di Oderzo e Motta.
Si presume che anche a Oderzo fervessero i preparativi. La gendarmeria sarebbe stata certamente informata e il signor Mantovani sarebbe stato lusingato di ospitare il personaggio e il suo seguito nel proprio albergo. Entusiaste sarebbero state , naturalmente, le famiglie Amalteo e Tomitano, presso le quali il regnante si sarebbe fermato per qualche ora. Anche la popolazione non sarebbe stata indifferente: la visita di un’altezza imperiale non era episodio frequente.
Per quanto poca esperienza abbia con le corti imperiali del mondo, ognuno può bene immaginarsi la scena. Una carrozza con un tiro a sei cavalli guidati da due cocchieri; due servi al seguito; un paio di gendarmi di scorta e un segretario dovevano accompagnare il Capo di Stato diretto a Oderzo. Non si può certo fare un confronto con le attuali scorte dei politici, ma si trattava pur sempre di una realtà inconsueta cui provvedere con cibo e alloggio.

La rugiada lunare, chiamata “aguàzh” era ancora gelata e la temperatura era pungente come il freddo del nulla. Dal finestrino della diligenza si vedevano le conifere: bellezze d’inverno. La brina incipriava i prati come una nuova mano di vernice. In lontananza si udivano i rintocchi del picchio. Nei pollai i capponi esultavano felici per l’approssimarsi del Natale.
Il tragitto non era agevole. La “Callalta” evidenziava buche ed asperità appena mitigate dal confronto con i fossi esigui che la accompagnavano. Il Granduca Ranieri, fratello dell’Imperatore Francesco II d’Austria e futuro suocero di Vittorio Emanuele II di Savoia, non era soddisfatto. Quando i viaggiatori giunsero alla Piave, anche il ponte si presentava malconcio e ciò aumentò l’irritazione del Principe. Non c’erano tuttavia alternative per i mezzi di trasporto a quel tempo: la ferrovia si sarebbe fatta attendere ancora per 71 anni! – Una pausa si imponeva comunque per ristorare le persone e i cavalli. Durante questo intervallo Ranieri dovette aver impartito l’ordine per il riassetto della Callalta. Da come il ripristino fu effettuato, si comprende come allora le decisioni delle autorità fossero subito eseguite: a differenza delle attuali delibere, per le quali occorrono tempi lunghi nella speranza che esse vengano dimenticate o abrogate da successive amministrazioni.

Nelle prime ore del pomeriggio i monti si mostrarono in tutta la loro irripetibile senilità. Gli alberi dal bel portamento erano miti compagni e l’Arciduca pensava, con invidia, che alle piante riesce qualcosa che gli uomini non possono fare: un sonnellino in piedi. Nei campi ai lati della strada le “bilussère” erano vigneti alti, larghi e grossi della magia del “vin moro”.

Oderzo attendeva con i suoi portici, già frequentati d’estate da innumerevoli rondini e divenuti d’inverno silenziosi rifugi per il letargo delle eleganti vespe gialle nere come i colori dell’Impero. La città era piccola tanto da sembrare quasi privata. Un filo di luce liquida era il Monticano, fiume mitteleuropeo e non peninsulare, che scorreva anonimo e irrequieto tra gli argini imbronciati come il mormorio del tempo non addomesticato da nessuna clessidra onoraria. Lungo il ramo interno del corso d’acqua, vicino al ponte di Gatolè vegetavano i salici piangenti, che in nessun caso possono essere considerati alberi tristi.

Sul cancello maggiore a sinistra prima dei portici del grande palazzo nel Borgo Maggiore, Ascanio e Francesco Amalteo, rispettivamente primo e settimo dei sedici figli di Giambattista, attendevano l’illustre ospite. Questi era al corrente che gli Amaltei, giunti a Oderzo da Innsbruck nel 1400, erano famosi per l’impegno culturale iniziato da Marcantonio e Francesco e poi sviluppato nei secoli da Gerolamo, Giambattista, Cornelio, Pomponio, Ottavio, Aurelio e Ascanio. Gli ultimi due erano stati poeti di corte a Vienna.

L’Arciduca volle subito visitare la biblioteca della famiglia. Tra le altre verità vi sarebbe stato conservato un raro codice della Commedia dantesca. Il libro manoscritto anteriore all’invenzione della stampa, sarebbe stato prestato all’editore veneziano Ludovico Dolce per una delle prime copie a stampa in dodicesimo nel 1555. Da quella data l’opera sarebbe stata poi denominata “divina” anche per la svolta impressa alla storia della cultura: la letteratura in volgare era diventata oggetto di interesse della filologia umanistica. L’edizione tratta dal manoscritto concesso dalla Biblioteca degli Amaltei evidenziava tuttavia un errore: Dante sarebbe nato nel 1260, mentre è consolidato il periodo tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265!

Ranieri d’Austria rimase entusiasta per la quantità e la qualità di libri e manoscritti custoditi nella biblioteca e volle trattenersi con amabile sensibilità a colloquio con i proprietari. Fu durante questa conversazione che egli apprese l’esistenza dell’altrettanto celebre biblioteca opitergina dei Tomitano, cui pure dedicò un poco del suo tempo.

Le speranze di una più lunga permanenza del Principe a Oderzo andarono tuttavia deluse. Egli intendeva proseguire il viaggio per Motta, la città quasi al livello del fiume che attraversava : la Livenza.
La sera scende ovunque dal cielo. A Oderzo essa sembra invece salire dalla terra e avrebbe un color prugna. In questa particolare suggestione gravata dal freddo clima dell’inverno continentale, il viaggio di Sua Altezza Imperiale riprese attraverso il paesaggio in un tempo in cui la guerra dell’uomo contro l’albero non era ancora cominciata.

Francesco Amalteo, portatore sano di cultura, volle che l’importante evento per la sua città rimanesse traccia nel tempo. Egli fece quindi apporre sopra la porta d’ingresso della celebre biblioteca questa lapide:

Il 13 dicembre 1824 Ranieri Arciduca d’Austria,
Vicerè del Regno Lombardo-Veneto,
onorò della sua presenza con un’ora di umanissimo colloquio
la Biblioteca degli Amaltei, che è vanto della Provincia di Treviso.
Francesco Amalteo Affidò ai posteri un tale onore per la sua casa.

La lapide, insieme a quella esistente a palazzo tomitano, fu frantumata nel 1866 in nome della cultura e dell’amore per la storia locale, si suppone. E’ stato come se oggi la scuola pretendesse di escludere gli Dei dall’Illiade. La finta civiltà è peggio della vera barbarie. I tentativi per un ripristino dell’iscrizione hanno incontrato dapprima silenzio e poi lungaggini nella speranza che tutto finisca nella dimenticanza. Anche questo in nome dell’interesse e dell’amore per una pagina di storia della città, s’intende.
Nerio de Carlo


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