venerdì 9 luglio 2010

REQUIEM

Ancora un poco
ed è già tempo di addii.
Li vedi i calendari alle pareti?
Nei loro fogli è segnata
anche la data esatta della mia morte.
Io non potrò verificare,
ma so bene che sarà così.
Manca tuttavia l’ora della mia morte,
ma tutti i momenti sono al loro posto
come i tasti neri nel pianoforte.




Nur noch eine Weile,
und es ist Zeit, sich zu verabschieden.
Siehst du die Kalender an der Wand?
Auf einem ihrer Blätter steht das genaue Datum
meines Todes.
Ich werde es nicht überprüfen können,
aber ich weiβ genau, dass es so sein wird.
Die Stunde meines Todes fehlt noch,
aber alle Augenblicke sind an ihrem rechten Platz
wie die schwarzen Tasten auf der Klaviatur.
Nerio de Carlo

LEZIONE DI ENTOMOLOGIA

COCCINELLA: INSETTO COLEOTTERO, TONDO, DELLA GRANDEZZA DI UN PISELLO, SEGNATO DI SETTE PALLINE NERE
SULLE ELITRE ROSSE.

HA UNA VITA BREVISSIMA, MA GIÀ DOPO UN PAIO D’ORE NE HA ORMAI LE PALLINE PIENE DI UMOR NERO!

Nerio de Carlo

LA FINE DEL MONDO

Sono presuntuoso e credo di sapere
quando il mondo starà per finire.
Il mondo cesserà di esistere
quando le immagini prodotte dall’uomo,
rivali illecite di tutto quanto esiste,
supererà il numero delle creature viventi.
L’equilibrio tra l’esistenza
e la sembianza dei segni allora si spezzerà:
le immagini sommergeranno la vita
e il mondo finirà nel multilinguaggio
che crede di spiegarlo e possederlo.


DER WELTUNTERGANG

Ich bin eingebildet und ich glaube zu wissen,
wann die Welt beim Erlöschen sein wird.
Die Welt wird ein Ende haben,
wenn die von der Menschheit erzeugten Bilder,
die unerlaubten Rivalen jeder Existenz,
die Gesamtheit der Lebewesen überschreiten werden.
Das Gleichgewicht zwischen dem Leben
und dem Anblick der Zeichen wird zerbrechen:
Die Bilder werden das Leben versenken
und die Welt wird in der Vielzüngigkeit enden,
die sie zu erklären und zu besitzen glaubt.

Nerio de Carlo

ELOGIO DELLA STUPIDITA'


Dallo scuola-bus giallo erano scesi due ragazzi del paese e un adulto con il cane decrepito e mite. Non si sapeva chi fosse il forestiero. Anche la scelta del mezzo di trasporto, destinato agli scolari, sembrava insolita. C’era infatti un autobus di linea due volte al giorno, ma era poco frequentato. I maligni evitavano questa corriera con il pretesto che il conducente sarebbe stato un fervente sostenitore della reincarnazione, ma forse il vero motivo era da ricercarsi nel prezzo. L’uomo si avviò verso una casa vicina alla falegnameria, estrasse una chiave ed entrò. Quella dimora era nota come la casa dell’Inzaccheratore.
In paese tutti si chiedevano chi fosse lo sconosciuto che sembrava una minoranza estrema. Gli anziani sostenevano che egli avesse trascorso la gioventù proprio in paese, ma poi sarebbe emigrato. Al di sopra dei pensieri c’è sempre l’immaginazione.
Oh, l’emigrazione!- Il fenomeno trasforma la terra di ognuno in terra estranea. Nessun colore potrà mai invadere la felicità o la disperazione degli emigrati. Essi hanno la memoria sulla destra e il ricordo sulla sinistra. L’anagramma di regime è emigrè e anche il regime alimentare non è che un altro modo per alimentare il regime. Si dice che nel sesto giorno la creazione fosse terminata con la comparsa dell’uomo. Dal primo uomo sarebbero quindi derivati sia il fattore genetico, sia le anime che avrebbero vivificato il genere umano. Alcune di queste anime fuggirono tuttavia e seguirono vie diverse da quelle delle altre: sarebbero le anime degli emigrati.

Qualcuno sosteneva che il personaggio avesse lavorato in principio presso una ditta di spedizioni. Qui sarebbe avvenuto un fatto particolare. In un giorno climaticamente accettabile l’addetto all’invio dei piccoli pacchi sarebbe stato convinto da un collega buontempone che fosse imminente una nevicata e che era quindi consigliabile approntare la slitta, piuttosto che il solito carrello per la consegna dei pacchi alla Posta. Per evitare il possibile contagio della prurigine di stupidità il nostro personaggio avrebbe cambiato datore di lavoro. Comprensibile. Seguirono altri impieghi pubblici anche ben retribuiti. L’attività principale era costituita stavolta da interminabili riunioni di lavoro. Queste avevano luogo in una sala dove avrebbe ben figurato un cartello con l’invito di lasciare “calzature e teste all’ingresso”, come si leggeva nella sede di una setta religiosa non meglio definita. Tale abitudine aveva lo scopo di evitare che la responsabilità per le frequenti decisioni rovinose o inutili fosse attribuita a qualcuno. – Le determinazioni delle riunioni di lavoro, spesso contrassegnate dal fatto che si parlava di lavoro senza mai dire qualcosa, venivano infatti assunte collegialmente. Un marchingegno per nascondere la realtà: taluni responsabili non sapevano proprio quello che volevano, ma lo volevano subito. Sia detto per inciso, ma anche i Proci a Itaca agivano collegialmente. Nessuno di loro era individualmente colpevole. Secondo la Giurisprudenza attuale, essi non avrebbero nemmeno commesso gravi reati. Ulisse, invece, sarebbe stato accusato di strage premeditata. - Una continua delusione insomma.

Quanto costa una delusione? Non poco in termini di energie, tempi di percezione ed elaborazione, sfiducia generale o frazionata, eventuali ripercussioni economiche. Si può dire che il disagio di un disinganno perdura poi nel tempo e può influire sul futuro con incerte dimensioni. Esso può inoltre indurre a fidarsi più dei nostri disgusti che dei propri gusti, anche se gli individui si comportano diversamente gli uni dagli altri.
Il maestro del paese aveva le informazioni. L’uomo avrebbe fatto una brillante carriera come ricercatore. Egli sarebbe stato perfino sul punto dio scoprire il rimedio contro la stupidità. Come ognuno sa, la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede invece benissimo. Quando la notizia trapelò, al grande laboratorio in cui lo studioso lavorava furono infatti sospesi i contributi statali per la ricerca.
Il disoccupato avrebbe allora comperatola casa dell’Inzaccheratore.

Nessuno sapeva perché mai quel luogo si chiamasse così. Qualcuno riteneva che quando il vecchi Impero fu sostituito dal nuovo Regno, il regime avesse inviato in paese un incaricato per decaffeinare l’antico linguaggio. L’Inzaccheratore, appunto. Col tempo si sarebbe in tal modo conseguita una parlata che non somigliava né alla lingua dominante, né a quella dei vecchi: una specie di ninna-nanna suonata con un trombone, ecco.

Il cane del forestiero era l’unico a mantenere i rapporti tra la casa dell’Inzaccheratore e la vicina falegnameria. L’artigiano costruiva casse da morto. Gli affari erano tuttavia miseri a causa della produzione in serie oramai imperante. L’attività era stata dunque convertita e vi si facevano ormai casse da morto per cani. Il settore non era ancora inflazionato e il mercato tirava. In fin dei conti anche l’amore per gli animali è un buon incentivo per il commercio. Il cane del nuovo arrivato faceva dunque da modello per il collaudo delle piccole bare.

Tutto bene quindi. Ma come poteva vivere un uomo solo,anziano e apparentemente senza mezzi? La curiosità aumentò quando si seppe che egli aveva comperato in contanti anche la tomba del Tessitore.. non si trattava di una tomba vera e propria in cimitero, ma di una semplice fossa, sulla quale ognitanto si posava un lucherino olivastro sul dorso e giallo sul petto. Si dovette procedere a varie consultazioni per identificare il perimetro esatto, poiché non c’erano indizi visibili.
“Dovrebbe essere accanto alla fossa del Fabbro”, ricordavano alcuni.
“No, la tomba del Tessitore era più in là, accanto a quella del Portalettere”, sostenevano altri.

Da dove proveniva il denaro tuttavia? Qualcuno sospettava dei risparmi. La magliaia era più informata. Da un po’ di tempo molti, soprattutto donne in dieta sentimentale, giungevano in paese, chiedevano quale fosse la casa dell’Inzaccheratore e vi si recavano, si diceva. Il nuovo arrivato doveva avere dei poteri speciali e più precisamente in campo sentimentale, si bisbigliava. Con una certa somma si poteva incontrare la ragazza o il partner dei propri sogni. Il triplo per sposarlo. La metà per una cena con un bacio stradale. Un terzo solo per sognarlo. Con la quantità, se non proprio con la qualità delle applicazioni, si arrivava ad una bella somma giornaliera, esentasse naturalmente. Alla fine dei conti la mancata scoperta e commercializzazione della pillola contro la stupidità si sarebbe veramente rivelata un buon affare. Ma a ben ragionare i tempi non furono mai migliori, se si pensa a Giobbe. E anche il clima non dovette essere un gran che, se si pensa a Noé.

Nerio de Carlo

CHI DI VOI E' SENZA PECCATO.

La sera scende ovunque dal cielo come una tregua malinconica nel paese solcato dal fiume anonimo irrequieto, essa sorge tuttavia come un’onda liquida e con odore di pesca matura dai prati e dai campi, che sono la cassaforte della terra. E a quella luce rosea i grilli sono soliti cantare il loro rosario di lodi, mentre il volo del pipistrello sembra uno scialle di seta che morbidamente fluttua nel vento.
Non accadeva praticamente nulla nel paese non ancora pizza dipendente e così vicino ai monti, che sono in definitiva i massimi pesi di questo mondo nonché attrazione liberatrice da certe condizioni del presente. Un misfatto avrebbe inoltre potuto, secondo un calcolo statistico, verificatosi solo ogni 889 anni in quel luogo situato in uno spazio imprecisato tra Venezia e Vienna, distante da ogni realtà senza metamorfosi, piantata in un eterno presente. Anche la genialità delle cornacchie non incuriosiva più. Funzionava così: i neri uccelli portavano le noci raccolte in un crocicchio quando l’unico semaforo era rosso. Appena il verde si spegneva, si affrettavano poi a raccogliere i frutti schiacciati dalle ruote dei pochi veicoli di passaggio. L’esperimento non sarebbe stato naturalmente da ripetersi in certe località disordinate, poiché nessuna delle bestiole sarebbe sopravvissuta. Tutto qui.
Era ovvio che la gioventù si annoiasse in un ambiente simile: cimitero senza lumi dove si credeva che l’amore platonico fosse un sistema contraccettivo del passato, anziché un punto d’appoggio perfino più saldo di quello immaginato da Archimede per sollevare la terra. Non destava quindi meraviglia che qualche ragazzo diventasse talvolta e per diversivo, per così dire, affluente minore del fiume.
Ogni tanto la novità era costituita da processioni religiose attraverso i campi tinti di giallo dai fiori del soffione. Il massimo dell’intraprendenza si realizzava poi in rare recite all’aperto, inscenate da ragazzi e ragazze su temi religiosi, come la Passione, il Natale, la cacciata dei mercanti dal tempio, il cammino di Gesù sulle acque, la guarigione dei ciechi, ma non della cecità, per opera del Messia …- Il parroco aveva letto per l’appunto qualche giorno prima un passo del Vangelo di San Giovanni:”Ora gli scribi e i Farisei condussero una donna colta in adulterio, e, dopo averla messa nel loro mezzo, gli dissero: - Maestro, questa donna è stata colta nell’atto di commettere adulterio. Nella Legge Mosè ci ha prescritto di lapidare tale sorta di donne. Realmente che ne dici? – Naturalmente dicevano questo per metterlo alla prova, onde avessero qualche cosa di cui accusarlo. Ma Gesù si chinò per scrivere col dito per terra. Persistendo essi nell’interrogarlo, si drizzò e disse loro: - Chi di voi è senza peccato le getti per primo la pietra. E chinatosi di nuovo scriveva per terra. Ma quelli che avevano udito questo uscirono ad uno ad uno, a cominciare dagli anziani, ed egli fu lasciato solo, e la donna che era nel mezzo”.

L’argomento si prestava per un breve dramma. L’attesa colava come cera fusa lungo le candele. Fu scelto quale palcoscenico un tratto della riva dove lo strame frusciava e le acque del fiume avevano formato una specie di spiaggia con tanto di sabbia fine bagnata: un habitat favorevole sia al Martin pescatore sia al Martin peccatore. Nessuna difficoltà ci fu per la scelta di quanti dovevano rappresentare gli Scribi e i Farisei: alcuni con sembianti da crisantemo, altri con la faccia da biomassa e denti che galleggiavano nella bocca. Il loro portavoce, diabetico per troppa sdolcinatezza, avrebbe dovuto in definitiva pronunciare soltanto poche parole!
Le difficoltà si presentarono quando si trattò di scegliere coloro che dovevano sostenere la parte di Gesù e della donna accusata di atti compiuti, si fa per dire, nell’esercizio della propria femminilità. Nel primo caso non poteva essere uno qualunque, ma uno che almeno sapesse scrivere. Si optò quindi per il maestro della scuola e la scelta fu gradita a tutti perché un maestro è pur sempre un donatore di neuroni. Nel secondo caso, poiché nessuna donna comprese quelle sotto la soglia minima della desiderabilità, voleva assomigliare al personaggio evangelico di cui si trattava, sebbene non fosse prevista la pronuncia di parole,
si dovette procedere per estrazione a sorte. Toccò a una giovane bellastra con caviglia levriera, curve sapienti e occhiali da sole simili a fogli di fico per nascondere lo sguardo di due occhietti fritti nel rossore. Costei, così si mormorava , era amante dei cavalli. In senso metaforico, naturalmente. Meno metaforica sarebbe stata invece la sua abilità nell’incontrare un peccator cortese mentre la madre stava dormendo. Si può comprendere: dopo tutto anche l’anima ha un corpo. – Questa scelta fu infine convincente, poiché ci sarebbe stata una indiscutibile coincidenza con la realtà. Nessuna avrebbe potuto interpretare quella parte meglio di lei, così si mormorava.

La rappresentazione ebbe luogo di domenica pomeriggio sotto un cielo raffermo aveva cessato di piovere. Non per questo comunque il governo era diventato meno ladro, tanto per stare a un antico detto popolare. La veste senza cucitura di Gesù era stata confezionata dalla tessitrice del paese. Gli spettatori, in parte coniugi con qualche carenza, erano curiosi e interessati. Capitava di rado un evento come quello, perbacco. Gli Scribi e i Farisei avevano un vestiario approssimativo, ma originale. La donna accusata non era vestita proprio come una santa , ma non importava molto poiché soltanto le vere sante sarebbero donne ideali. Tutto andò molto bene. I battimani e la soddisfazione del pubblico furono quanto mai meritati.
La ragazza che aveva interpretato l’adultera aveva tuttavia un desiderio: leggere quanto ripetutamente era rimasto scritto nella sabbia per aderenza al racconto evangelico. Quelle parole lasciate ad asciugare al chiaro di luna la inquietavano perché la luna è il sole della notte. Ritornò quindi con andatura autoinguinante e ammiccamento ombelicale sulla riva del fiume prima che si facesse buio e trascrisse quanto riteneva di aver letto:” Quanti credono di aver successo in amore non sperano più, perché sono illusi di aver raggiunto il loro scopo. Coloro che pensano di aver avuto definitivamente successo in amore, cioè di avere sottoscritto con l’amore un patto indissolubile, sappiano che essi rischiano di diventare cornuti dell’amore”. E infine:”Non si debbono porre i topi a guardia del formaggio, poiché non si è mai abbastanza cauti nella scelta dei propri contemporanei”.


Tutto intorno era buio. La luna illuminata solo nella guancia, calava verso occidente. Sembrava di udire il cigolio del Grande Carro nell’alta sommità della notte. Invece era l’usignolo nella fratta presso il ponte. Anche il canto di un uccello diventa responsabilità quando suscita emozioni.

In un incontro occasionale il maestro spiegò il significato di quanto aveva scritto. Le prime parole vogliono dire che , affinchè i sogni si avverino, bisogna prima di tutto svegliarsi. L’altro avvertimento riguarda la prudenza in ogni circostanza. Ci sono casi in cui il peccato è celato nella apparente regolarità e non viceversa. Bisogna quindi diffidare di quanti accusano il prossimo: potrebbero farlo per interesse o mossi dall’invidia. Tutto ciò con la massima riserva e cautela, soggiunse il maestro. Gesù e la donna erano stati infatti lasciati completamente soli, come assicurava il testo originale. Non c’era anima viva intorno a loro. Non si comprende quindi come sia poi stato possibile che terze persone descrivessero fedelmente ogni gesto e ogni parola.

Nerio de Carlo

LA POIANA E LA LEPRE

Racconto di Nerio de Carlo


Dove il parco degrada verso il Rasego accadde un episodio che non avrebbe potuto verificarsi altrove e di cui non sono noti precedenti. Due piccioni si erano scontrati in volo: uno era precipitato esanime sulla riva del fiume. È indiscutibile che i piccioni siano ingenui, ma fino a questo punto sembrava sinceramente troppo!

La scena era stata osservata con sorpresa da una poiana e da una lepre albina. Entrambe erano stanziali. La poiana era una sorta di falchetto con becco robustissimo senza dente e fauci molto fesse, tarso più lungo del dito medio e grande cacciatrice di topi.- La lepre aveva fitto pelame, orecchi lunghi, zampe posteriori più lunghe che la fanno atta alla corsa, al salto, a movimenti agilissimi in ogni verso. I peli erano di colore albiccio e dilavato a causa di un carattere genetico recessivo.

Dopo avere assistito alla collisione diventava evidente che si trattava di un sintomo di stupidità, dal quale nemmeno gli animali erano esenti e che avrebbe potuto diventare contagioso. L’idea di abbandonare la zona endemica e ritornare nei lontani luoghi d’origine era comune ai due animali. La mancanza di topi dovuta alla scomparsa della coltivazione sia del grano nella ricca veste di spighe d’oro, sia delle pannocchie dai grandi denti, era diventato un motivo impellente per la poiana, la quale sospettava inoltre che in qualche pertugio regnasse perfino la rogna. La lepre, invece, non aveva propriamente ragioni alimentari. Essa voleva piuttosto scoprire perché i suoi genitori non l’avessero voluta e fosse stata avviata su un carro alla volta del mercato del mercoledì, dal quale poi si era miracolosamente salvata.

“I nostri paesi nativi sono molto lontani. Con le ali servirebbe una settimana per raggiungerli. Tu ci impiegheresti circa tre mesi. La ricerca dell’identità è dolorosa. Assomiglia a certe radici quadrate: alcune sono immaginarie”.

“Potresti portarmi in volo con te”, propose la lepre.

“Un così lungo periodo senza mangiare mi impedirebbe di arrivare alla meta. Anche per te sarebbe difficile sfuggire per mesi ai cacciatori e ai loro cani”.

“Facciamo così. Tu mi prenderai con te e quando avrai fame potrai cibarti della mia carne. È l’unica possibilità per superare il lungo viaggio. Qui non possiamo più vivere”.

Sembrava un buon accordo, anche se c’erano rischi ed errori di valutazione.

La poiana e la lepre salutarono i salici dai fiori unisessuali, i pioppi dal bel portamento, i tigli con le foglie rugose a forma di cuore, il rameggio sempre verde del bosso, il trifoglio ramoso e le altre tenere erbe di cui si rivestono i prati di Rigole.- Poi partirono verso l’orizzonte lontano come ogni orizzonte.
Il primo giorno trascorse tranquillo. Verso sera ci fu però il primo sacrificio: il codino della lepre. Ma sì, a che cosa serve in fin dei conti un’appendice, un residuo del genere?
Il viaggio continuò e anche le lunghe orecchie sparirono una dopo l’altra.- Poi fu la volta delle zampette anteriori. Se si prescinde dal dolore, ne rimanevano comunque altre due di zampe, diamine!- Certo, anche queste non durarono a lungo ma, tutto sommato, a che servivano le zampe se c’erano le ali amiche?
La situazione si aggravò quando si dovettero sacrificare altre residue parti del corpo. Mancava ormai poco alla fine del viaggio e fu indispensabile intaccare gli organi interni. Stomaco, polmoni, fegato (non la cistifellea) furono dolorosamente divorati.

Erano già in vista le nobili stelle alpine e le genziane dai fiori vistosi. Anche il cuore fu allora consumato. D’altronde anche se avesse continuato a battere, non sarebbe stato possibile stargli dietro. La lepre era morta.
La poiana depose sulla porta dell’obitorio il piccolo scheletro che volle essere così deciso al ritorno e puntuale a dissolversi. Poi un suono scaturì dal becco dell’uccello:”Uzemi, tieni”.
L’accordo era stato rispettato senza tutela contro la morte.
Questa guarisce tutti dalla malattia di vivere. Oltre il recinto del camposanto i defunti sono ormai esenti dall'idea della morte. In caso contrario essi ripenserebbero alle trascorse difficoltà, alle effimere gioie, agli amori più o meno incerti e, in fondo a tutto, alla dolorosa diparta.
Un'angoscia.
Nerio de Carlo.

ALTEZZA IMPERIALE

“ Le folle non hanno mai sete di verità. Deificano l’errore.
Chiunque le disillude tende a diventare loro vittima.”

(Gustave Le Bone)

Poco prima della metà di dicembre 1824 i cocchieri ricevettero l’ordine di tenere pronti cavalli e carrozza per una trasferta molto importante. L’Arciduca Ranieri d’Asburgo, Vicerè del Regno Lombardo-Veneto, desiderava visitare le città imperial-regie di Oderzo e Motta.
Si presume che anche a Oderzo fervessero i preparativi. La gendarmeria sarebbe stata certamente informata e il signor Mantovani sarebbe stato lusingato di ospitare il personaggio e il suo seguito nel proprio albergo. Entusiaste sarebbero state , naturalmente, le famiglie Amalteo e Tomitano, presso le quali il regnante si sarebbe fermato per qualche ora. Anche la popolazione non sarebbe stata indifferente: la visita di un’altezza imperiale non era episodio frequente.
Per quanto poca esperienza abbia con le corti imperiali del mondo, ognuno può bene immaginarsi la scena. Una carrozza con un tiro a sei cavalli guidati da due cocchieri; due servi al seguito; un paio di gendarmi di scorta e un segretario dovevano accompagnare il Capo di Stato diretto a Oderzo. Non si può certo fare un confronto con le attuali scorte dei politici, ma si trattava pur sempre di una realtà inconsueta cui provvedere con cibo e alloggio.

La rugiada lunare, chiamata “aguàzh” era ancora gelata e la temperatura era pungente come il freddo del nulla. Dal finestrino della diligenza si vedevano le conifere: bellezze d’inverno. La brina incipriava i prati come una nuova mano di vernice. In lontananza si udivano i rintocchi del picchio. Nei pollai i capponi esultavano felici per l’approssimarsi del Natale.
Il tragitto non era agevole. La “Callalta” evidenziava buche ed asperità appena mitigate dal confronto con i fossi esigui che la accompagnavano. Il Granduca Ranieri, fratello dell’Imperatore Francesco II d’Austria e futuro suocero di Vittorio Emanuele II di Savoia, non era soddisfatto. Quando i viaggiatori giunsero alla Piave, anche il ponte si presentava malconcio e ciò aumentò l’irritazione del Principe. Non c’erano tuttavia alternative per i mezzi di trasporto a quel tempo: la ferrovia si sarebbe fatta attendere ancora per 71 anni! – Una pausa si imponeva comunque per ristorare le persone e i cavalli. Durante questo intervallo Ranieri dovette aver impartito l’ordine per il riassetto della Callalta. Da come il ripristino fu effettuato, si comprende come allora le decisioni delle autorità fossero subito eseguite: a differenza delle attuali delibere, per le quali occorrono tempi lunghi nella speranza che esse vengano dimenticate o abrogate da successive amministrazioni.

Nelle prime ore del pomeriggio i monti si mostrarono in tutta la loro irripetibile senilità. Gli alberi dal bel portamento erano miti compagni e l’Arciduca pensava, con invidia, che alle piante riesce qualcosa che gli uomini non possono fare: un sonnellino in piedi. Nei campi ai lati della strada le “bilussère” erano vigneti alti, larghi e grossi della magia del “vin moro”.

Oderzo attendeva con i suoi portici, già frequentati d’estate da innumerevoli rondini e divenuti d’inverno silenziosi rifugi per il letargo delle eleganti vespe gialle nere come i colori dell’Impero. La città era piccola tanto da sembrare quasi privata. Un filo di luce liquida era il Monticano, fiume mitteleuropeo e non peninsulare, che scorreva anonimo e irrequieto tra gli argini imbronciati come il mormorio del tempo non addomesticato da nessuna clessidra onoraria. Lungo il ramo interno del corso d’acqua, vicino al ponte di Gatolè vegetavano i salici piangenti, che in nessun caso possono essere considerati alberi tristi.

Sul cancello maggiore a sinistra prima dei portici del grande palazzo nel Borgo Maggiore, Ascanio e Francesco Amalteo, rispettivamente primo e settimo dei sedici figli di Giambattista, attendevano l’illustre ospite. Questi era al corrente che gli Amaltei, giunti a Oderzo da Innsbruck nel 1400, erano famosi per l’impegno culturale iniziato da Marcantonio e Francesco e poi sviluppato nei secoli da Gerolamo, Giambattista, Cornelio, Pomponio, Ottavio, Aurelio e Ascanio. Gli ultimi due erano stati poeti di corte a Vienna.

L’Arciduca volle subito visitare la biblioteca della famiglia. Tra le altre verità vi sarebbe stato conservato un raro codice della Commedia dantesca. Il libro manoscritto anteriore all’invenzione della stampa, sarebbe stato prestato all’editore veneziano Ludovico Dolce per una delle prime copie a stampa in dodicesimo nel 1555. Da quella data l’opera sarebbe stata poi denominata “divina” anche per la svolta impressa alla storia della cultura: la letteratura in volgare era diventata oggetto di interesse della filologia umanistica. L’edizione tratta dal manoscritto concesso dalla Biblioteca degli Amaltei evidenziava tuttavia un errore: Dante sarebbe nato nel 1260, mentre è consolidato il periodo tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265!

Ranieri d’Austria rimase entusiasta per la quantità e la qualità di libri e manoscritti custoditi nella biblioteca e volle trattenersi con amabile sensibilità a colloquio con i proprietari. Fu durante questa conversazione che egli apprese l’esistenza dell’altrettanto celebre biblioteca opitergina dei Tomitano, cui pure dedicò un poco del suo tempo.

Le speranze di una più lunga permanenza del Principe a Oderzo andarono tuttavia deluse. Egli intendeva proseguire il viaggio per Motta, la città quasi al livello del fiume che attraversava : la Livenza.
La sera scende ovunque dal cielo. A Oderzo essa sembra invece salire dalla terra e avrebbe un color prugna. In questa particolare suggestione gravata dal freddo clima dell’inverno continentale, il viaggio di Sua Altezza Imperiale riprese attraverso il paesaggio in un tempo in cui la guerra dell’uomo contro l’albero non era ancora cominciata.

Francesco Amalteo, portatore sano di cultura, volle che l’importante evento per la sua città rimanesse traccia nel tempo. Egli fece quindi apporre sopra la porta d’ingresso della celebre biblioteca questa lapide:

Il 13 dicembre 1824 Ranieri Arciduca d’Austria,
Vicerè del Regno Lombardo-Veneto,
onorò della sua presenza con un’ora di umanissimo colloquio
la Biblioteca degli Amaltei, che è vanto della Provincia di Treviso.
Francesco Amalteo Affidò ai posteri un tale onore per la sua casa.

La lapide, insieme a quella esistente a palazzo tomitano, fu frantumata nel 1866 in nome della cultura e dell’amore per la storia locale, si suppone. E’ stato come se oggi la scuola pretendesse di escludere gli Dei dall’Illiade. La finta civiltà è peggio della vera barbarie. I tentativi per un ripristino dell’iscrizione hanno incontrato dapprima silenzio e poi lungaggini nella speranza che tutto finisca nella dimenticanza. Anche questo in nome dell’interesse e dell’amore per una pagina di storia della città, s’intende.
Nerio de Carlo