venerdì 9 luglio 2010

CAMPANE

Quando il tempo non era ancora moneta ma quasi tutto il resto, compresa la dimensione di morte a rate, la campana era la lingua, il linguaggio del Signore. Così Egli parlava alle creature di mattino, a mezzogiorno e a sera nei giorni feriali. Più spesso nelle festività perché la gente aveva più tempo. I rintocchi annunciavano la Messa, il Vespro, l’Angelus e anche i decessi sia dei vecchi che dei giovani. Per i bimbi il suono era breve come un fiammifero nella notte, per gli adulti grave e triste. Ciò dipendeva dal fatto che l’anima dei grandi aveva bisogno di maggiori raccomandazioni, com’era logico che fosse. La durata del suono era anche commisurata al riguardo per il defunto. Se questi era un neonato, bastava un breve sorvolo di squilli sopra i tetti. Se però, supponiamo, era un vecchio benestante, la campana suonava diversamente con l’accompagnamento dei bronzi minori.

Ogni campanaro faceva in realtà il proprio dovere, come sarebbe stato necessario affinchè la lingua del Signore fosse compresa dalle creature. Se ne rammenta uno, un grande devoto, che morì in tarda età suonando le campane. Diceva che la vecchiaia era il tempo della preghiera, il raggiungimento di una sintesi interiore che consente di avere appunto uno sguardo di carattere sintetico sulla propria vita e esperienza. La preghiera diventa uno sguardo rivolto al cielo.
La professione di campanaro era onorevole. L’uomo veniva salutato perfino da tutti. Egli poteva vantare contiguità con il parroco. La lingua del Signore aveva una bella casa, un’alta torre con il tetto a guglia insaporito, dalle versatili astorelle. Se qualcuno vi fosse entrato avrebbe compreso la lingua degli uccelli.
Durante il suono delle campane nei villaggi s’interrompeva il lavoro nei campi, ognuno si toglieva il cappello e il sole illuminava le teste scoperte. Pregare era una grata riflessione sul senso della vita, come sosteneva Wittgenstein. Perfino le ragazze intente a sgranare le pannocchie smettevano di gattigliare.
Di domenica le parole del Signore mettevano le ali, meravigliose ali color crosta di panna cotta che portavano il messaggio attraverso l’intero paese . anche le foglie degli alberi e la luce bagnata del glicine color lapislazzulo tremavano. I cipressi slanciati annuivano ai rintocchi con le cime. I calici dei gigli facevano altrettanto e i cani smettevano di latrare. Era come una nona beatitudine dopo le otto annunciate da Gesù nel Discorso della montagna e diceva pressappoco così:” Beati coloro che considerano la vita come un dono, cioè provvista di senso, logica coerenza, e non provano amaro risentimento verso il tempo presente “.
Di domenica tutto splendeva e il sole occhieggiava mite sull’infinità delle pianure. Sotto il gelso il campanaro leggeva a tutta la famiglia la Scrittura:” Mentre parlava ancora, arrivò Giuda, uno dei dodici, e con lui la folla con spade e bastoni mandata dai capi sacerdoti e dagli scribi e dagli anziani. Ora il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: - Chi bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via al sicuro “. –

Poi ognuno si rattristava e l’ultimo rintocco della campana minore si spargeva sui prati di Rigole, lungo il fiume che non scorre da solo perché noi scorriamo con Lui.

Nerio de Carlo

La luna e il pozzo

(di NERIO DE CARLO )

Racconti opitergini.

Questo libro è un’ opera di fantasia. Ogni riferimento a circostanze, persone viventi o vissute, opinioni, comunità vegetali e presenze animali accennate per conferire verosimiglianza alla narrazione, è puramente casuale o funzionale all’esposizione. Illudersi dell’opposto potrebbe rivelarsi una scadente opinione, anche se raramente storie così verosimili sono state lette.
Se il lettore ritiene tuttavia che, malgrado tutto, qualcosa del genere possa essere successo, lo fa nell’esercizio della propria libertà personale.

(Immagine in copertina di Toni Alba)

"L'uomo è buono per natura"
(Antico proverbio dei cannibali caraibici)

All'arcobaleno del mio cielo




PREFAZIONE

Un libro di racconti è sempre causa ed effetto di molte esperienze. La memoria personale diventa in un libro di racconti memoria pubblica: un manufatto letterario. Un libro di racconti può contenere molte espressioni caustiche. Per quanto possa sembrare strano, si ricordi che anche l’aceto è un gradevole derivato del buon vino. Che un libro possa lasciare domande sospese, è infine la sua maggiore qualita.
Con questa pubblicazione l’azienda “Serafin Frigoriferi” intende fare un investimento in cultura in occasione di un importante anniversario. Dopo molti anni di impegno, soddisfazione, crisi di crescita e successo, si ritiene ora opportuno formalizzare esperienze e prospettive in una originale “ biografia trasfigurata”, che solo un libro può rappresentare.

Lo scopo della letteratura è infatti quello di descrivere l’esperienza umana e l’umanità include senz’altro l’autore e i suoi lettori. La narrazione crea se stessa passando per l’incrocio tra lettura e scrittura.

Nel 1985 la Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Treviso attribuì alla “SERAFIN FRIGORIFERI” la medaglia d’oro per “le capacità del titolare fondatore, che attraverso tecnologia ed innovazione ha saputo creare una affermata attività di elevato livello tecnico”.
Il “titolare fondatore” è Lugi Serafin. Il figlio Fabio continua, sviluppa ed espande l’azienda. Dopo la seconda guerra mondiale egli emigrò in Arabia Saudita, dove rimase cinque anni. Anche dopo il suo ritorno a Oderzo la tecnologia della refrigerazione era ancora latente in Europa. Fu merito di una pioneristica intuizione se emerse il coraggio di aprire una officina a Oderzo in attesa di future esigenze nel settore. Gli introiti furono inizialmente modesti, tanto da necessitare dell’integrazione dei proventi di nove anni di insegnamento di tecnologia, matematica e disegno tecnico. Gli sviluppi nel settore dei frigoriferi furono poi abbastanza puntuali, come previsto. L’atività cominciò ad affermarsi e ampliarsi. Ora si può parlare della “SERAFIN FRIGORIFERI” come di un’azienda al massimo della specializzazione nel settore di specie.
Sarebbe troppo lungo enumerare gli incarichi di responsabilità, cui Luigi Serafin è stato chiamato per l’apprezzabile dimensione di umanità e competenza.
A taluni lettori potrà sembrare che l’opera contenga una serie di messaggi criptati o in codice per chi deve capire. Non è sempre così, poiché l’autore è di tutti e di nessuno. Il suo discorso è universale.
Sono frequenti i riferimenti alla topografia e alle comunità vegetale e animale locali. Si potrebbero quindi sospettare apparenti malignità, ma un libro cattivo non è necessariamente un cattivo libro.
Il titolo dell’opera potrà anche sembrare insolito. Ma nel territorio opitergino, dove la “Serafin Frigoriferi” opera e ha la sede, il pozzo è un archetipo, un oggetto più o meno presente nell’inconscio collettivo dal quale derivano codici noti. Esso rimanda circostanze tragiche, in cui il pozzo fungeva perfino da nascondiglio per le cose preziose da salvare dalle ricorrenti incursioni. La sua rilevanza è tramandata, oltre che dalla memoria popolare, da rogiti notarili. Quando un terreno veniva venduto, l’eventuale scoperta del “pozzo d’oro”, ossia di supposti oggetti preziosi, era contrattualmente esclusa dalla compravendita. Il tesoro rimaneva proprietà del venditore. La raffigurazione del pozzo nella copertina di questo libro non è quindi casuale, ma rappresenta dimensioni che sarebbe il caso di ricercare e di riscoprire.

venerdì 25 giugno 2010

A MIA MADRE

( Collaborazione degli umili )
A MIA MADRE


Quando t’ho vista un giorno nel dolore
Piangendo recitar l’Ave Maria,
tante parole di bontà e di amore
ho letto sul tuo cuore o madre mia.

E ancor ti vedo, mamma, ancor ti sento
Venirmi appresso come quella sera,
mesta parlarmi del tuo gran tormento
con voce ch’era tutta di preghiera.

Venirmi appresso come un’ala bianca,
poi lieve, lieve come una carezza
lenta posare la tua mano stanca
sul volto mio con tanta tenerezza.

E ancor ti vedo con quel tuo rosario
Pregare sempre come ‘na beata,
perché più dolce fosse il suo calvario,
o mamma tanto cara, o mamma amata.

Antonio Borsoi

VOCI DAL CUORE

(meditazione)

Voci di bimbi garrule e velate
di tenerezza tanta, al tramontare,
che mi giungete a volte un po’ stonate,
ma tanto care.

D’una tenera età, che mai non muore!
D’ore tanto serene mi parlate,
in questa breve sosta del dolore,
o voci amate!

O caldi sogni pieni di sorriso,
dolci parole che portate al cuore
quei cari giorni, ove ho forse riso
tante, tante ore!

O bei ricordi di quel paradiso
dell’età bella, che lontana vedo,
tepide gocce c’or bagnate il viso
di pianto … credo.

Antonio Borsoi

SILENZIO


Io ti parlo.

Ti chiedo il senso della vita,

delle sue altezze e dei deliri.


Lascio che in me

la tua voce si insignori

delle profondità dell'animo mio.


Oltre il silenzio la tua voce

mi risponde con l'invito a rispettare

il tuo e il mio silenzio.


La viva voce vorrei sentire

come suono dalle labbra

si fa parola amorevole e consolazione.


Eppure resiste il tuo silenzio

nel mio pensiero ansioso,

che cerca il concento del tuo silenzio.

E non sono mai solo.

M.B.


* * *


Se si vuole dare un significato alla parola "Silenzio", si dovrebbe accennare a una "condizione ambientale generata dall'assenza di perturbazioni sonore".


Se si dovesse, poi, dare la stessa definizione al nostro non dialogo con il prossimo, ci si accorgerebbe che il nostro sentire invade la mente come un silente vapore di parole, che nella nostra immaginazione si coagulano in pensieri.


Questi a loro volta danno origina alla vita, al battito del cuore, al desiderio di porre domande, alla ricerca di risposte, in conclusione a tutto ciò che si oppone alla morte, comprese le nostre incertezze nonché il desiderio di conoscere e capire. Vorremmo dare al termine "Silenzio" un profilo che non sia quello di sempre, nascosto dal mistero, in questo intimo dialogare. Tuttavia ovunque lo sguardo cerchi un'umana similitudine o la mente si avventuri oltre i confini dell'infinito, esso è con noi da sempre, fin da prima del concepimento nel grembo materno: non muta, ma soltanto silenziosa presenza del nostro animo, cui confidare il battito del cuore.

Desideri infine ricordare quanto ha sostenuto ricordare Juan Carlos Onetti, citatomi dal Prof. Nerio de Carlo: "Hanno diritto di esistere solo le parole migliori del silenzio".


Per rappresentare questo scritto ho scelto un'opera del 1982 del professore e maestro d'arte Daniele Brescacin allievo di Arturo Martini e Gigi Viani all'Accademia delle belle Arti di Venezia, e che rappresenta una figura femminile in raccoglimento: la sua posizione è comparabile a quella fetale di un nascituro. Se poi vogliamo osservare l'opera da un'altro punto di vista, vale a dire geometrico, essa e come fosse stata concepita dall'Artista, dentro a un cerchio ovale pronta a schiudersi come un fiore, da quel silenzioso raccoglimento ad un suo progetto; proprio come un ovulo che s'appresta a lasciarsi fecondare nel "grembo materno" per concedersi ad un progetto di vita.


Nella composizione di un'opera d'arte, come in questa rappresentata dall'immagine femminile, si possono cogliere i segni simbolici racchiusi nei tratti tracciati dall'Artista. Sempre nelle Opere vi è una ricerca umana e spirituale di chi s'appresta a "creare". La rappresentazione concepita, dunque matura spesso attraverso un sofferto travaglio interiore che nel movimento delle linee dei segni e dei colori raggiunge il compimento del suo progetto.

M.B.