Racconto di Nerio de Carlo
La scuola rigorosamente maschile
e retta da religiosi era ai margini della città. Le ragazze studiavano dalle
monache.
Un giorno l'Istituto femminile
chiuse e le allieve frequentarono la
scuola ex maschile.
In autunno, la stagione dal gusto
di mela, nell'aula della V^ liceo c'erano venti studenti e tredici studentesse.
Il tradizionale “banco degli asini” era stato abolito. Gli insegnanti, a causa
delle poche vocazioni, erano laici.
Le difficoltà, se così si possono
definire, erano rappresentate dalle professoresse di lettere e di matematica.
La prima era una persona solo tendenzialmente femminile e con una quantità
irrilevante di estrogeni. Benché non
fosse più in garanzia il suo corpo
appariva ancora poco usato dal tempo. I
capelli erano brinati di colore nero. Accettabile tutto sommato.- La seconda,
priva di successo come donna, cercava di averlo come uomo, per dirlo con le
parole di Pittigrilli. Essa si credeva comunque bella e, se un giorno le fosse
sembrato il contrario, riteneva di avere sbagliato specchio. Entrambe fingevano
di essere delle adolescenti per conquistare la simpatia degli allievi.
Diverso era il gruppo delle
studentesse, l'altra metà del Pantheon con tanto di stimmate da depilazione
improvvisata e indubbie convessità.
Le tredici ragazze avevano un hardware
notevole e un software niente male. Due di queste risaltavano tuttavia
per ragioni diverse e rievocavano un celebre dipinto del Botticelli: una
sembrava Venere ; l'altra somigliava alla cozza che sta sotto i suoi piedi .
Oppure, se si preferisce, la prima era fatta come un'anfora greca ed era
chiamata “la bella”; la
seconda come un'urna antica ed era chiamata “la
brutta”.
Il nome proprio di entrambe le
fanciulle cominciava con “U”.
Bisognava ammetterlo. La più
avvenente aveva una fisionomia slava tradotta in ovale gotico. Le bretelle
sulla sua camicetta bianca facevano uno
strano effetto a parentesi. Una bella presenza con forme geometriche a tutto
tondo esagerata perfino in paradiso.
Quasi tutte le altre avevano la
pelle che tremava sotto le lentiggini ed erano invidiose. Quando parlavano
dell'amica più leggiadra, usavano un appellativo rievocante una antica città
omerica.
Una parte dei maschi, invece,
avrebbe desiderato una amica così pneumatica. Tutti erano naturalmente concordi
nell'affermare che gli amici preferiti da lei sono sempre degli imbecilli. Il
più geniale tra loro, bravo in matematica, osservò che l'infinito e la donna
sono incomprensibili perché nessuno dei due può venire elevato al quadrato,
come aveva sostenuto Novalis.
Un giorno la ragazza vagheggiata
aveva spostato parecchio in avanti le proprie linee e un condiscepolo le
disse:”Tu non sei rifatta dal chirurgo plastico. Io invece sì: quando ti
guardo mi rifaccio gli occhi”.
Tutto bene quindi? Nemmeno per
sogno. Le due allieve furono usualmente e crudelmente sempre distinte dai loro
compagni come U. la bella e U. la brutta. I cognomi
erano stati praticamente aboliti. La consuetudine fu acquisita anche dagli
insegnanti omettendo i cognomi.
L'appello all'inizio delle
lezioni era, ed è sempre, un obbligo nella scuola. La professoressa di
matematica, arrivata alla lettera “U”, udì un “assente”. Senza
riflettere chiese:”Quale? La bella?”.Poi comprese di avere indovinato: U
“la brutta” era al suo posto e la fissava.
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